Firenze, 27 aprile 2018. Nella casistica dei Buoni Fruttiferi Postali Ordinari con timbro di aggiornamento esiste una particolare questione che vede non poche probabilità a favore dei beneficiari.

In occasione delle modifiche alle serie dei Buoni Fruttiferi, negli uffici postali si sono sempre usati fino ad esaurimento i certificati delle serie precedenti, apponendovi uno o più timbri con le condizioni in vigore al momento dell’emissione. Un comportamento conforme alle disposizioni di legge ma che provoca ora non pochi grattacapi alle Poste ed alla Cassa Depositi e Prestiti, che dei Buoni Fruttiferi è l’emittente.

Nei casi in cui si riscontra che il timbro di aggiornamento è mancante o riportante condizioni non più in vigore al momento dell’emissione, la nota sentenza di Cassazione a Sezioni Unite 15/06/2007, n. 13979, prevede che il collocamento dei buoni dà luogo alla conclusione di un accordo negoziale tra emittente e sottoscrittore e, nell’ambito di detto accordo, l’intermediario propone al cliente e quest’ultimo accetta di porre in essere un’operazione finanziaria caratterizzata dalle condizioni espressamente indicate sul retro dei buoni oggetto di collocamento, i quali vengono compilati, firmati, bollati e consegnati al sottoscrittore dall’ufficio emittente.
In poche parole, viene sancito il principio secondo cui vale ciò che è riportato dalle condizioni presenti sul Buoni Fruttifero, e niente altro.

Una particolare casistica riguarda i tassi applicabili dal ventesimo al trentesimo anno di maturazione gli interessi nei Buoni Fruttiferi Postali Ordinari con timbro di aggiornamento.

Nell’aggiornare le condizioni di un certificato ordinario di una serie precedente, alle Poste hanno sempre apposto un timbro coi nuovi tassi di interesse fino al ventesimo anno. Il timbro non ha mai riguardato, invece, le condizioni che si applicano dal ventesimo anno fino alla “scadenza naturale” del buono, appunto il trentesimo anno.

I decreti di emissione specificano che dal ventesimo al trentesimo anno si applica, con liquidazione bimestrale, un tasso di interesse semplice pari al maggior tasso raggiunto nel corso dei primi venti anni.

Il caso tipico è un buono emesso dopo il famoso Decreto Ministeriale 13 giugno 1986 che istituì, a partire dal successivo 1 luglio, la serie Q e consegnato ai clienti utilizzando un certificato di serie precedente. Il maggior tasso raggiunto dalla precedente serie P era il 15% e il timbro non lo modifica. Le Poste invece, nel rimborsare il buono, considerano il tasso del 12%, ossia il maggior tasso raggiunto dalla serie Q.

A nostro modo di vedere, la fattispecie ricade nel disposto della citata sentenza di Cassazione a Sezioni Unite 15/06/2007, n. 13979, ed è possibile reclamare il pagamento dei maggiori interessi. Il discorso vale per i buoni in essere ed anche per i buoni già incassati. Il diritto si prescrive dopo dieci anni a partire dalla data di estinzione.

I Collegi dell’Arbitro Bancario Finanziario sono stati investiti della materia, e dopo una prima fase in genere negativa si assiste ora a pronunciamenti favorevoli ai beneficiari dei buoni, sebbene con decisioni che appaiono improntate alla causalità col medesimo collegio ora favorevole ora contrario alle tesi dei clienti. Presentare ricorso all’Abf è quindi ragionevole, e ne stiamo presentando non pochi per conto dei nostri iscritti. Non è per niente escluso, data la differenza di vedute tra i sette Collegi dell’Abf, che la questione venga rimessa al Collegio di Coordinamento.
In caso di esito negativo del ricorso vi è sempre la strada della vertenza davanti al Giudice di Pace, anche se occorre tenere conto che a volte la somma contestata è di modesta entità.

Anna D’Antuono, avvocato e consulente legale Aduc


COMUNICATO STAMPA DELL’ADUC
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