Nel sistema pensionistico italiano per andare in pensione un lavoratore dipendente utilizza tutti i contributi previdenziali versati durante la sua carriera. Mese dopo mese, durante la carriera, un lavoratore versa i contributi all’INPS per il tramite del suo datore di lavoro che ha la funzione di sostituto di imposta. Tutti i contributi versati finiscono nel cosiddetto montante dei contributi. Si tratta di una specie di salvadanaio da aprire al momento del pensionamento e che viene trasformato in pensione con dei meccanismi e dei coefficienti molto particolari.

Nel 2023 però entra in vigore il cosiddetto bonus per chi resta al lavoro. Una specie di incentivo che richiama al vecchio bonus Maroni cessato nel 2007. In pratica viene offerto un bonus a chi rinvia la pensione e resta al lavoro con una specie di disincentivo al pensionamento. Ma su quali misure si applica e come funziona questo nuovo bonus è l’argomento di numerosi quesiti che i nostri lettori ci hanno inviato. Uno di questi, per esempio, è quello postoci dal sig. Marco.

La domanda del nostro lettore

“gentile redazione volevo sapere se potrò restare al lavoro qualche altro anno godendo di uno stipendio più alto, anche perché ho un mutuo da pagare e i soldi mi servono. Ho sentito che chi resta al lavoro può prendere il 10% in più di stipendio. Non so se sia vero o se ho capito bene, ma mi chiedevo davvero se potevo godere di questa agevolazione. Dal momento che a dicembre ho completato i 38 anni di contributi versati e i 64 anni di età utili alla quota 102 mi chiedevo se restando al lavoro nel 2023 e magari nel 2024 potevo sfruttare questa possibilità e pensionarmi poi in data successiva.”

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Una premessa doverosa è necessaria per capire bene di cosa parliamo.

Dobbiamo per forza di cose precisare quale è la reale portata di questo bonus sullo stipendio che i lavoratori dovrebbero poter prendere. Infatti parliamo di una agevolazione che riguarda sostanzialmente i lavoratori che nel 2023 matureranno il diritto alla quota 103. Infatti la misura è collegata alla novità previdenziale introdotta nella Legge di Bilancio che prevede l’uscita a partire dai 62 anni di età con 41 anni di contributi. In attesa che il decreto attuativo, che dovrebbe essere emanato entro il 31 gennaio prossimo (cioè nei canonici 30 giorni successivi alla pubblicazione della legge di Bilancio), faccia chiarezza su alcuni aspetti molto delicati, oggi possiamo soltanto parlare di cosa è chiaro delle nuove misure. Sia di quota 103 che del bonus per chi resta al lavoro.

Il bonus vale solo per la quota 103?

Molte le cose che rischiano di generare false aspettative e confusione nei lettori. Non è detto infatti che questo bonus per chi resta al lavoro sia esteso anche ad altre misure pensionistiche. E quindi il nostro lettore che dice di poter uscire con la quota 102 e quindi con la cristallizzazione del diritto a una misura già cessata il 31 dicembre appena trascorso, potrebbe non avere la possibilità di sfruttare questa misura. Usiamo il condizionale per quanto detto prima e per via della mancanza del tanto atteso decreto attuativo. Non è detto infatti che la possibilità del bonus stipendio non venga estesa anche a misure diverse come la quota 102, la quota 100, l’Ape o addirittura, la pensione anticipata ordinaria.

Come funziona il bonus per chi resta al lavoro

Va detto comunque che il bonus sullo stipendio, utile a chi decide di rinviare la pensione, alcune controindicazioni le presenta. E soprattutto quelle sull’importo della pensione sono controindicazioni non certo irrisorie. Per capire bene il tutto, niente di meglio che approfondire il funzionamento di questo bonus. Infatti chi sfrutta questa possibilità non farà altro che percepire la parte di contributi che in genere il lavoratore versa a suo carico per la futura pensione, direttamente nello stipendio.

In genere ogni lavoratore versa, tra quota a carico del datore di lavoro e quota a carico dello stesso lavoratore, il 33% dello stipendio lordo utile ai fini previdenziali.

Ogni mese il 33% di questo stipendio finisce nel salvadanaio del montante contributivo. Il 23,81% è a carico del datore di lavoro. Il 9,19% è a carico del lavoratore stesso. In pratica il datore di lavoro preleva questi soldi e li invia alla Cassa previdenziale INPS. Con il bonus il datore di lavoro non farà altro che lasciare in busta paga questi contributi al lavoratore. Non li preleverà più. E si tratta di soldi che resteranno in più sullo stipendio del lavoratore.

Ma la pensione futura sarà più bassa inevitabilmente

Il lavoratore interessato dovrà chiedere al datore di lavoro l’applicazione di questo bonus. Meccanismo, richiesta e regole saranno presto chiarite da decreti attuativi e circolari esplicative dell’INPS. Nel frattempo è facile ipotizzare che per tutti i mesi di rinvio della pensione con la quota 103, il lavoratore godrà di questo surplus di stipendio. Ma allo stesso tempo il datore di lavoro verserà nel montante contributivo solo il 23,81% dello stipendio lordo utile ai fini pensionistici. E di conseguenza saranno meno soldi che finiranno nel salvadanaio per poter poi essere trasformati in pensione. Al posto del 33% il 23,81%.

Il che genererà una perdita per il pensionato tanto più grande quante saranno le mensilità di bonus stipendio maggiorato che prenderà. Infatti la richiesta di bonus non è irreversibile. Il lavoratore potrà decidere di sfruttare l’agevolazione solo per un determinato periodo e poi chiedere la revoca. Scegliendo la pensione o di restare al lavoro senza bonus e guadagnandosi una pensione futura più alta.