A osservare le manovre di ogni Governo sulle questioni relative alle misure pensionistiche, spesso si affaccia alla mente la famosa scenetta del mariuolo col gioco dei tre bicchierini e la moneta. “Questo vince, questo perde, sposta di qua, sposta di là, fate attenzione signori, la pensione dove sta?”. Ovviamente, a perdere è sempre il malcapitato di turno che vede passare sotto ai suoi occhi il soldino senza riuscire mai ad afferrarlo e a metterselo in tasca.

In questo caso, qual è il trucco che si nasconde dietro il fantomatico aumento in busta paga per chi rinuncia ad andarsene in pensione? Cerchiamo di sollevare tutti e tre i bicchierini e scoprire dove si trova la famosa “fregatura”.

Nella Legge di bilancio 2023, non ci sono solo interventi diretti sulle pensioni con quota 103 o con la proroga di Opzione Donna e della c.d. Ape sociale. Infatti, il Governo ha pensato anche a misure con le quali agevolare chi decide di rimandare la pensione continuando a lavorare. In particolare, il Governo va a riprendere il vecchio bonus Maroni, con alcune modifiche ad hoc.

Chi deciderà di rimandare la pensione, beneficerà di uno sconto sui contributi previdenziali trattenuti in busta paga. Ciò significa che il lavoratore dipendente che decide di rimandare la pensione, avrà una busta paga più ricca a fine mese.

Da qui, è lecito chiedersi se l’aumento in busta paga collegato a una riduzione dei contributi da versare, comporterà una pensione più bassa.

Il nuovo bonus Maroni. Più soldi in busta paga

Grazie al nuovo bonus Maroni che era già stato in vigore dal 2004 al 2007, chi rimanderà  la pensione beneficerà, in busta paga, di uno sconto contributivo. Ciò consentirà, dunque, di guadagnare di più.

Inizialmente si parlava di uno sconto contributivo del 10%, tuttavia, nelle ultime bozze della Legge di bilancio, lo sconto sembrerebbe essere aumentato dal 10% al 33%.

Si ricorda che, in linea di massima, i contributi previdenziali sono così suddivisi tra lavoratore e datore di lavoro:  23,81% a carico del datore di lavoro; 9,19% a carico del lavoratore.

In premessa, ci siamo chiesti se l’aumento in busta paga, collegato a una riduzione dei contributi da versare, comporterà una pensione più bassa. Infatti, a meno contributi versati dovrebbe corrispondere un taglio sull’assegno pensionistico.

Ebbene, la risposta potrebbe essere positiva. Tuttavia non è escluso che nella stessa Legge di bilancio sarà prevista una misura che vada a limitare gli effetti negativi del bonus sul futuro assegno pensionistico.

Le altre novità sulle pensioni. Da quota 103 a Opzione Donna

In materia di pensioni, la Legge di bilancio 2023, porta la nuova quota 103. Il punto di partenza è l’attuale quota 102. Da qui, il Governo ha lavorato sui requisiti contributivi.  In particolare, si abbassa la quota anagrafica e si alza invece il monte contributivo a 41 anni.

Nel complesso, potranno andare in pensione con quota 103, coloro i quali hanno:

  • un’età anagrafica pari almeno a 62 anni e
  • un’anzianità contributiva minima di 41 anni.

Dunque, sale il monte contributi e scende l’età anagrafica.

Anche Opzione Donna e la c.d. Ape sociale saranno prorogate.

Su Opzione donna, potrà sfruttare tale canale di pensionamento anticipato chi, alla data del 31 dicembre 2022, rispetta i seguenti requisiti: un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età anagrafica pari o superiore a 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) e a 59 anni (per le lavoratrici autonome).

Al contrario di quanto trapelato nella scorsa settimana, nel testo finale della Legge di bilancio dovrebbe essere eliminato il riferimento al numero dei figli della lavoratrice che intende sfruttare tale canale di pensionamento anticipato. La proroga di Opzione Donna avverrà, quindi, solo sulla base degli attuali requisiti in vigore.