Il bitcoin è ormai sulla bocca di tutti e non sono pochi gli investitori che stanno guadagnando con le cripto valute. Molti si stanno però domandando se si debbano pagare le imposte sulle plusvalenze oppure no.

Ebbene, il dubbio è presto sciolto. Il bitcoin è equiparata a una comunissima valuta internazionale. Pertanto ogni transazione che comporti delle plusvalenze deve essere dichiarata e subisce una tassazione da capital gain pari al 26%.

Elusione fiscale

Tuttavia, pur essendo il bitcoin uno strumento finanziario nuovo e non tracciabile coi sistemi fiscali tradizionali, esso è soggetto a elusione fiscale.

Il bitcoin si scambia infatti tramite blockchain (mediante peer to peer) e sfugge ai tracciamenti del fisco. Chi lo tratta può quindi comodamente sfuggire alle grinfie del fisco e non pagare le dovute imposte.

Al momento le autorità fiscali non sono in grado di “seguire” gli scambi di bitcoin, a meno che non sia la banca quale intermediario a gestirli. In questo caso la banca agisce come sostituto d’imposta applicando, in regime amministrato, la ritenuta fiscale del 26% sugli eventuali guadagni. Al pari di ogni altro strumento finanziario.

Ma se gli scambi avvengono al di fuori del canale bancario, come per la maggior parte dei casi, è al momento difficile rintracciarli. Sia per quanto riguarda le imposte da pagare, sia per quanto concerne l’esportazione di valuta o il riciclaggio di denaro transfrontaliero.

Bitcoin e fisco

Detto questo, è bene sapere che anche i bitcoin devono essere dichiarati al fisco. Pur in assenza di una normativa fiscale specifica. A confermarlo è una recente sentenza del Tar del Lazio, la numero 1077 del 27 gennaio 2020. Secondo i giudici, la moneta virtuale è riconducibile a investimenti di tipo finanziario.

Pertanto tutti coloro che investono in bitcoin o altre criptovalute non sono esenti da dichiarazioni fiscali e devonoi farlo presente alle autorità fiscali. La legge considera gli investimenti in bitcoin come redditi finanziari prodotti all’estero e li considera investimenti al pari delle valute straniere.

L’Agenzia delle Entrate

Il dubbio era sorto con l’avvento dei bitcoin su cui molti investitori avevano fatto affidamento anche per trasferire fondi all’estero superando così i controlli dell’Uif presso la Banca d’Italia e la conseguente segnalazione al fisco.

L’Agenzia delle Entrate, visto l’allargamento del fenomeno, aveva già chiarito nel 2018 con interpello n. 956-39 che le valute virtuali devono essere oggetto dichiarate attraverso il quadro RW (indicando di inserire nella colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 (“altre attività estere di natura finanziaria”). Respingendo la tesi secondo la quale la moneta virtuale non sarebbe in alcun modo riconducibile ad investimenti di tipo finanziario in quanto avente mera natura di mezzo di scambio.

La dichiarazione nel quadro RW

Tesi confermata, come abbiamo visto, dal Tar del Lazio che scaturisce dal ricorso promosso da alcune associazioni contro i modelli dichiarativi dei redditi 2019 (anno di imposta 2018). Le quali prevedevano l’inserimento cripto valute nell’ambito degli obblighi di monitoraggio fiscale. I giudici tributari hanno ribadito che

la tassazione non si giustifica tanto per via semplice del possesso di valute virtuali in quanto tali, bensì per il loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili, coerentemente con la loro natura effettiva, che è rappresentativa di valori che, a loro volta, sono costituiti da utilità economiche e quindi espressivi di capacità contributiva.

Prevale così la tesi dell’Agenzia delle Entrate che impone di includere le monete elettroniche nell’ambito dei redditi finanziari esteri da dichiararsi nel quadro RW del Modello Unico Persone Fisiche.

Le tasse sui bitcoin

Precisato che il bitcoin deve essere dichiarato al fisco, e per questo non bisogna pagare nulla, ne consegue che le cripto valute incorrono nella tassazione ordinaria degli strumenti finanziari.

L’Agenzia delle Entrate (risoluzione ministeriale n. 72 E del 02/09/2016) ha precisato che il bitcoin è assimilabile a una qualsiasi moneta, benchè virtuale e pertanto è possibile applicare le stesse normative che si applicano ai privati che svolgono attività speculativa in ambito monetario.

Tale normativa stabilisce che solo le attività dei privati cittadini che detengano per almeno 7 giorni consecutivi in un anno un ammontare in moneta per un controvalore pari o superiore a 51.000 euro siano considerabili come attività speculative, generando pertanto redditi imponibili. In questo caso quindi le plusvalenze vanno rilevate e dichiarate.

Tuttavia i privati cittadini non “chiudono bilancio” a fine anno, quindi le plusvalenze (26% dei guadagni o capital gain) saranno rilevate solo nel momento della vendita di bitcoin.