I politici sembrano essere come i ladri di Pisa. Litigano di giorno e poi vanno a rubare insieme di notte. Ma non solo in Italia. E’ così da sempre in tutto il mondo. Tanto il popolo se le beve tutte, grazie ai media ormai non più indipendenti al 100% e a pagare il conto è chi lavora o vive di sola pensione.

Dopo il trambusto scoppiato sulla proroga di Opzione Donna, con l’innalzamento del requisito anagrafico per le lavoratrici con figli, adesso l’attenzione si sposta sulle pensioni minime.

Non più 45 euro di aumento per tutti, ma solo 39. Il 7,3% in più, come stabilito dal Ministero dell’Economia a novembre.

Dietrofront della Lega sulle pensioni minime

Il passo indietro è stato fatto dalla Lega che ha presentato un emendamento al capitolo pensioni nella Legge di bilancio per bloccare gli aumenti sulle pensioni minime del 120%. Non ci sarebbero le risorse finanziarie necessarie – dice il leghista Claudio Durigon – anche perché si tratterebbe di incrementare oltre misura ben 4 milioni di assegni.

Ma perché questo passo indietro all’ultimo momento? Per capire come stanno esattamente le cose, bisogna andare un po’ a ritroso, al tempo della campagna elettorale. La Lega ha sempre caldeggiato e promesso Quota 41, cioè il pensionamento per tutti con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

Fra una discussione e l’altra in seno alla maggioranza, alla fine, si è partorita una misera Quota 103. Cioè pensione anticipata a 62 anni con 41 di contributi, solo per 12 mesi. E nemmeno per tutti, ma solo per coloro che non superano di cinque volte il trattamento minimo. Per colpa delle limitate risorse disponibili si dice.

Da Quota 103 alle minime, tutto già previsto

Ma tanto vale per far scattare la vendetta dei leghisti sul capitolo pensioni. Perché se è vero che mancano soldi per le pensioni anticipate per chi ha lavorato 41 anni nella vita, non si capisce come mai magicamente saltano fuori risorse extra per finanziare le pensioni minime.

Trattasi per la precisione di trattamenti previdenziali integrati al minimo che presuppongono la mancanza di requisiti contributivi tali da far ottenere una pensione dignitosa e sufficiente per vivere. In sostanza, lo Stato interviene con integrazioni di natura assistenziale fino al raggiungimento di 524,34 euro al mese. Cifra che dovrebbe salire fino a 570 euro dal 2023, per una spesa complessiva di circa 2,5 miliardi di euro all’anno.

Oltretutto – fanno sapere dalla Lega – alzare eccessivamente l’importo delle pensioni minime implica indirettamente un maggiore esborso per le altre prestazioni pensionistiche che dovranno essere rivalutate nel 2023. Le nuove fasce di rivalutazione previste dal Governo si basano, infatti, sugli importi delle pensioni minime.

Ma di tutto questo trambusto dell’ultima ora viene anche da pensare che forse i partiti di maggioranza fossero d’accordo sin dall’inizio. Quello che appare una novità per i pensionati, forse era già tutto prestabilito dalla regia politica.