Assenze e permessi a lavoro, quando sono giustificate? Il dipendente ha diritto ad assentarsi dal lavoro, sia per periodi di tempo brevi che per periodi più o meno lunghi. Tale diritto, tuttavia, gli viene riconosciuto secondo termini e condizioni disciplinati da legge e CCNL. Il mancato rispetto della normativa vigente espone il lavoratore alle relative sanzioni previste dall’ordinamento in caso di assenza ingiustificata, che possono sfociare – nella più grave delle ipotesi – nel licenziamento.

Permessi e assenze giustificate

Quello tra azienda e dipendente è un vero e proprio rapporto di scambio, dove il soggetto-impresa si impegna a corrispondere una retribuzione adeguata al soggetto-lavoratore che, in cambio, offre i suoi servizi.

A regolare il tutto, per diritto, è il contratto di lavoro che i datore di lavoro e dipendente si impegnano a firmare prima dell’inizio dell’attività e che, ovviamente, deve rispettare le disposizioni contenute nei contratti collettivi nazionali, essere a norma di legge e mai in contrasto con i principi costituzionali. È il contratto a stabilire quando, come e in che modo il lavoratore deve svolgere l’attività per il quale è stato assunto.

L’impegno del dipendente, quindi, sarà quello di garantire la sua presenza a lavoro, nei modi e nei tempi specificati dal contratto. Questo non vuol dire, però, che tutti quelli che si assentano da lavoro stanno violando la legge.

L’ordinamento, infatti, riconosce dei casi specifici in cui è possibile chiedere un permesso e/o assentarsi dal lavoro mantenendo comunque gli stessi diritti (come quello alla retribuzione o alla conservazione del posto): in questo caso si parla quindi di permessi e assenze giustificate

Solitamente i permessi si distinguono dai congedi (che sono anche questi assenze giustificate) perché coprono periodi più brevi, spesso si parla difatti di permessi giornalieri, che possono riguardare uno o più giornate ma anche solo poche ore.

 

Sono permessi e assenze giustificate

  • i ROL, ovvero le riduzioni di orario di lavoro disciplinate da alcuni contratti collettivi; 
  • i permessi per lutto, 3 giorni all’anno di permessi retribuiti utilizzabili entro 7 giorni dalla morte di un familiare/parente entro il 2° grado; 
  • i permessi ammessi dalla legge 104/92
  • i permessi per gli invalidi e per grave infermità del coniuge, convivente riconosciuto o di parenti entro il 2° grado; 
  • i permessi per allattamento o controlli prenatali, che possono essere fruiti in giorni o ore; 
  • i permessi ex festività, previsti da alcuni CCNL; 
  • i permessi per visite medichedonazione del sangue
  • i permessi per motivi personali o di salute
  • i permessi per studio, esami, concorsi
  • assenze per malattia, infortunio e maternità

A questi si aggiungono anche le assenze che possono ricoprire un periodo di tempo più lungo: come i congedi matrimoniali o quelli richiesti per ricoprire cariche pubbliche – elettive. 

Assenze e permessi che danno diritto alla retribuzione

All’interno della grande macro-categoria di assenze giustificate è possibile distinguere: 

  • permessi retribuiti;
  • e permessi non retribuiti.

Nel caso dei permessi retribuiti il lavoratore ha diritto ad assentarsi da lavoro continuando a percepire la retribuzione spettante e mantenendo il proprio impiego, secondo le modalità e i termini stabiliti dalla legge e dai CCNL di categoria. Sono permessi non retribuiti, invece, quelli ammessi dalla legge e dai CCNL che danno il diritto alla conservazione del posto ma non alla retribuzione nel periodo di assenza. 

Sono permessi retribuiti, per esempio, quelli richiesti dal lavoratore per motivi personali e di salute, mentre sui permessi non retribuiti a dettare legge è la normativa vigente in materia di lavoro ma, soprattutto, i contratti collettivi di categoria, che prevedono e disciplinano di volta in volta le singole fattispecie.

Permessi e assenze del dipendente, ogni mese, verranno riportati in busta paga. Ogni cedolino, infatti, ha una sezione (in basso, nella parte centrale, tra gli elementi positivi della retribuzione) dedicata ai permessi di cui il dipendente ha usufruito,con l’indicazione anche di quelli residui e di quelli maturati.

 

Uno spazio diverso, invece, è dedicato alle assenze ingiustificate e le aspettative non retribuite: in questo caso eventuali multe o sanzioni e le ore non pagate verranno indicati tra le trattenute a carico del dipendente

Assenze ingiustificate: quali sono le sanzioni disciplinari e quando scatta il licenziamento

Il fatto che permessi e assenze giustificate siano riconosciute e tutelate dalla legge non implica che il lavoratore possa scegliere, arbitrariamente, di non presentarsi in azienda tutte le volte che ne ha diritto e senza avvisare il datore di lavoro. Un comportamento del genere, infatti, lo esporrebbe alle sanzioni previste per le assenze ingiustificate, poiché è suo dovere avvisare il datore di lavoro (o il responsabile di riferimento) quando e perché non svolgerà regolarmente la sua attività. 

Prima di passare all’elenco delle sanzioni previste dall’ordinamento in caso di assenze ingiustificate, bisogna specificare che la mancata presenza al lavoro per fatti ed eventi imprevedibili e/o imprevisti (quindi non dipendenti dalla volontà del dipendente) non sempre comporta provvedimenti. Può capitare, per esempio, che una persona non si presenti a lavoro per via di un malore improvviso o per un incidente. In questo caso, se il lavoratore fornisce le opportune giustificazioni dopo, comprovando che si è trattato di qualcosa che non è dipeso da lui, l’assenza si considera comunque giustificata. 

Fatta questa premessa, la regola generale è comunque che ogni assenza ingiustificata è considerata dall’ordinamento come un illecito disciplinare. Di conseguenza, espone il dipendente a sanzioni e provvedimenti che possono sfociare anche nel suo licenziamento. 

Prima di arrivare a irrogare una sanzione, però, il datore di lavoro deve avviare apposito procedimento, obbligatorio e disciplinato dallo Statuto dei Lavoratori

Tre sono le fasi che contraddistinguono il procedimento disciplinare

  • il datore di lavoro è tenuto a mandare lettera di contestazione al dipendente, che deve contenere precisamente l’addebito e deve essere tempestiva o, comunque, inviata non appena si viene a conoscenza dell’illecito; 
  • a questo punto il lavoratore ha tempo cinque giorni per presentare documenti e scritti in sua difesa e/o chiedere di essere convocato e ascoltato (se vuole anche accompagnato da un sindacalista). L’azienda non potrà irrogare sanzioni fino a quando l’audizione non sarà terminata; 
  • ultimate le prime due fasi, è obbligatoria la comunicazione dell’esito del procedimento, con eventuale irrogazione della sanzione disciplinare.

Il licenziamento per assenza ingiustificata è qualificabile come licenziamento disciplinare ed è ammesso solo nei casi più gravi.

Sarà il giudice, nello specifico, ad accertare “la reale entità e gravità delle infrazioni addebitate al dipendente” e a stabilire se il licenziamento può essere considerato una sanzione proporzionale al fatto commesso. 

La valutazione sarà fatta sia sulla base di criteri oggettivi (tenendo conto delle mansioni che svolge un dipendente e quanto sia stato grave il danno arrecato dalla sua assenza) e soggettivi (valutando le cause che hanno spinto il dipendente a non adempiere ad un suo dovere e tenendo conto del comportamento avuto prima, durante e dopo la commissione dell’illecito).  

Assenze e permessi ai tempi del Coronavirus

L’emergenza Coronavirus ha messo lavoratori e aziende nella posizione di dover fare i conti con una situazione senza precedenti. Molti, costretti a casa, si sono chiesti quando e come la quarantena o il possibile rischio contagio avrebbe giustificato o meno la propria assenza dal lavoro. 

A tal proposito il Decreto Cura Italia ha stabilito che: è assenza giustificata quando il dipendente non si presenta a lavoro perché costretto al periodo di quarantena obbligatoria. In questo caso azienda e dipendente devono tenere conto delle previsioni di legge e contrattuali che si applicano in caso di malattia del lavoratore, quando sono garantite tutte le tutele previdenziali e la conservazione del posto di lavoro. 

Se il lavoratore non si presenta al lavoro perché l’azienda – per motivi di sicurezza – è stata costretta a chiudere, laddove non è possibile ricorrere alle formule di “smart working”, l’assenza gli dà comunque diritto alla retribuzione. Stessa cosa se, in via del tutto precauzionale, il dipendente sceglie – dopo magari essere stato esposto al rischio contagio – di rimanere a casa in quarantena volontaria.

Alla base di queste assenze c’è la sicurezza (del lavoratore e dei suoi colleghi), per questo motivo chi è costretto al periodo di quarantena o chi ha contratto il virus è stato paragonato al lavoratore in malattia. Infatti, trattandosi di situazioni che giustificano l’assenza, il dipendente non andrà incontro a sanzioni o ad eventuale licenziamento.