In un nostro precedente approfondimento abbiamo visto che anche chi vive all’estero può aprire la partita iva in Italia. Tuttavia, in molti casi chi decide di venire o ritornare in Italia per lavorare, sposta anche la propria residenza nel nostro paese. Proprio per invogliare il trasferimento dei lavoratori dipendenti e autonomi dall’estero verso l’Italia, il legislatore ha previsto una serie di regime fiscali agevolati. Infatti ce ne sono di diversi:  per i c.d. lavoratori impatriati che decidono di lavorare in Italia sempre da dipendente o da autonomo, per docenti e ricercatori nonchè anche per gli sportivi professionisti.

 Focalizzando la nostra attenzione sul regime dei lavoratori impatriati, lo Stato concede loro di svolgere la propria attività nel nostro paese pagando le imposte solo sul 30% del reddito prodotto, in alcuni casi, le imposte si pagano solo sul 10%.

Detto ciò, in Italia, per chi decide di aprire la partita iva, c’è il regime forfettario. Regime in applicazione del quale, è possibile risparmiare sulle imposte da pagare allo Stato, grazie ad una percentuale di tassazione del 5% o del 15% rispetto al reddito determinato in maniera forfettaria.

Ebbene, quale compatibilità c’è tra il regime dei lavoratori impatriati e il regime forfettario? Il lavoratore che decide di trasferirsi in Italia con l’intenzione di aprire la partita iva, può combinare i due regime agevolati?

Il regime agevolato per gli impatriati

Grazie alle previsioni di cui all’art.16 del D.Lgs 146/2015, i lavoratori che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, hanno la possibilità di accedere ad una tassazione agevolata per i redditi prodotti in Italia. Il regime consente al contribuente di pagare le imposte su un reddito abbattuto del 70% o addirittura del 90%. Difatti, le imposte si pagano solo sul 10% o sul 30% del reddito prodotto.

Come ribadito sul portale dell’Agenzia delle entrate, tale regime agevolato è applicabile quando sussistono due presupposti:

  • il lavoratore non è stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegna a risiedervi per almeno due anni,
  • l’attività lavorativa è svolta prevalentemente nel territorio italiano.

Il regime agevolato spetta per cinque periodi d’imposta.

A partire dal periodo d’imposta in cui la residenza viene trasferita e nei successivi 4.

In applicazione del regime agevolato:

  • il reddito di lavoro dipendente (o a esso assimilato) e di lavoro autonomo prodotto in Italia concorre alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% dell’ammontare ovvero
  • al 10% se la residenza è presa in una delle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia.

La possibilità di allungare la durata del regime agevolato

La norma consente anche di allungare per ulteriori cinque anni il regime agevolato, anche per chi decide di aprire la partita iva (5+5).

Infatti, l’estensione della durata del regime agevolato per altri 5 anni è ammessa in presenza di almeno una delle due successive condizioni (comma 1, lettera c), articolo 5 del D.L. 34/2019):

  1. almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo;
  2. proprietà di almeno un’unità immobiliare di tipo residenziale in Italia, acquistata successivamente al trasferimento in Italia o nei dodici mesi precedenti (L’unità immobiliare può essere acquistata direttamente dal lavoratore oppure dal coniuge, dal convivente o dai figli, anche in comproprietà).

Per i 5 anni aggiuntivi, le imposte si pagano sul 50% del reddito imponibile. Tale percentuale è ridotta al 10% se il soggetto ha almeno tre figli minori o a carico, anche in affido preadottivo.

Compatibilità con il regime forfettario

In premessa ci siamo chiesti se tale regime agevolato è compatibile con il regime forfettario.

Ebbene, l’Agenzia delle entrate ha avuto modo di affrontare la questione diverse volte. Si veda ad esempio la circolare n°33/20220 o la risposta n° 460/2022.

Con tale ultimo documento è stato ribadito che:

il reddito prodotto in regime forfettario è soggetto ad un’imposta sostitutiva, lo stesso non concorre al reddito complessivo (per espressa previsione dell’articolo 3, comma 3, lettera a), del TUIR).

Reddito complessivo sul quale andrebbero applicate i suddetti abbattimenti reddituali previsti per il regime degli impatriati e le aliquote ordinarie Irpef.

Da qui, l’applicazione del regime forfettario è incompatibile con le agevolazioni previste per i lavoratori impatriati, come disciplinate dall’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015.

Dunque, colui che rientra in Italia e decide di aprire la partita iva per svolgere un’attività di lavoro autonomo, può scegliere alternativamente:

  • il regime forfetario applicando le regole proprie del regime e le aliquote di tassazione allo stesso riconducibili, in alcuni casi il 5%;
  • il regime fiscale previsto per i lavoratori impatriati, beneficiando dell’abbattimento del reddito e delle ordinarie aliquote Irpef.

Nei fatti, si tratta di una scelta di convenienza.