Non basta condividere sui social le foto e le imprese dei cani militari per rendere onore a questi eroi a 4 zampe. Li abbiamo visti in azione tra le macerie dei terremoti, in mezzo alle fiamme, nelle operazioni anti droga o anti esplosive e al fianco di tante altre emergenze in soccorso a vigili del fuoco e polizia. Ma che cosa succede a questi animali militari dopo il servizio? La petizione delle forze dell’ordine punta a riconoscere la pensione ai cani poliziotti e ai loro colleghi a 4 zampe.

Cani poliziotti e militari: hanno diritto alla pensione?

Questi animali possono prestare servizio fino ad 8 anni. Vengono addestrati dai corpi armati e gli viene richiesta una grande dose di coraggio per intervenire in caso di incendi, terremoti, naufragi e altre emergenze. Per fortuna la questione non è tanto quella dell’abbandono: spesso i militari li considerano alla stregua di colleghi e, chi ci lavora a stretto contatto, si offre di adottarli a fine servizio. Notizie ben più allarmanti quelle che, invece, arrivano dagli Usa, dove voci che sembrerebbero confermate anche dal Pentagono, ammettono che i cani anti-bomba impiegati in Afghanistan dall’esercito sono stati in alcuni casi reclusi per anni nelle gabbie, senza la riassegnazione ad una famiglia adottante. In Italia per fortuna questo scenario non è stato riscontrato.

Ma basta garantirgli una casa? A sollevare la richiesta della pensione per i cani militari è stata la rappresentanza militare del Co.I.R. del Comando Logistico, che ah chiesto al generale di Corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo di farsi portavoce dell’iniziativa. Durante gli anni di servizio questi animali hanno, giustamente, diritto ad assistenza. Eppure sarebbe evidentemente giusto considerare di mantenerla anche quando vanno in pensione dopo gli anni di onorato servizio. Si legge nella richiesta del Consiglio intermedio di rappresentanza: “sono servitori dello Stato ma una volta che si è esaurito il loro ciclo lavorativo restano in stato di abbandono.

Bisogna però ricordare che a esaurirsi è il loro lavoro, non la loro esistenza”. Nella lettera non manca una vena polemica verso la stampa e le persone che esaltano questi eroi, come abbiamo accennato ad inizio articolo, ma poi se ne dimenticano quando si spengono i riflettori delle loro azioni mediatiche: “fino a quando gli amici a quattro zampe fanno gioco per essere esibiti come simbolo di eccellenza, dedizione al servizio, perfetto esempio di come il cane abbia le stesse, se non superiori, capacità intellettive dell’uomo: tutto bene. Ma è quando si spengono i riflettori, quando finiscono in un oblio umiliante, stridente al cospetto di un’attività gloriosa, è in quel momento che dovrebbero accendersi su di loro le luci della ribalta”.

Il Co.I.R. ha chiesto quindi una modifica dell’articolo 534 del Decreto del presidente della Repubblica n.90 del 15 marzo 2010, «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005 n. 246» per garantire ai cani militari in pensione l’assistenza veterinaria a spese dello Stato istituendo una sorta di assicurazione sulla vita dell’animale. Si dice spesso che ai cani manca solo la parola: per fortuna in questo caso i loro colleghi hanno parlato per conto loro.

La questione è infatti giunta all’attenzione del ministro della Difesa Elisabetta Trenta che ha confermato di aver accolto le richieste e di aver già provveduto a chiedere “all’Esercito un approfondimento sui temi sollevati per valutare i margini di intervento”.

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