Con l’ordinanza n. 32812/2019 della Sesta Sezione Civile Tributaria della Corte di Cassazione, del 13 dicembre 2019, viene istituito un importante principio: “l’Agenzia delle Entrate può far scattare l’accertamento induttivo anche soltanto sulla base di criteri inferenziali”. Sarà compito del contribuente fornire prova contraria. Ma vediamo meglio cosa è successo.

Accertamento induttivo: la presunzione dell’Ade

Con la sentenza di cui sopra, la Suprema Corte di Cassazione, in estrema sintesi, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e stabilisce un nuovo principio fondamentale.

Ma andiamo per ordine.

La questione riguarda un accertamento che l’Agenzia delle Entrate avrebbe notificato ad un contribuente sulla base di mere presunzioni di tipo inferenziale su alcuni saldi di bilancio ritenuti, dalla stessa Ade, sospetti, o per meglio dire, improbabili.

In effetti, a quanto pare, la questione più importante riguarderebbe il saldo cassa che in diverse circostanze sarebbe risultato, per periodi più o meno lunghi, negativo.

In prima istanza, sia la Commissione Tributaria Provinciale, che la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia avevano accolto le ragioni del contribuente (in questo caso una Srl) che, sostanzialmente, aveva contestato l’invio da parte dell’amministrazione finanziaria di un avviso di accertamento per ricavi non dichiarati.

La decisione della cassazione

Il giudice di legittimità, accogliendo il ricorso dell’amministrazione finanziaria, chiarisce che i saldi negativi di cassa sono una prova sufficiente dell’esistenza di ricavi non dichiarati.

Ma non è finita, infatti, viene accolta anche l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, in base alla quale veniva sostenuto un altro illecito: i soci della Srl hanno tentato di riportare il saldo cassa in positivo attraverso dei conferimenti a titolo di “anticipo fornitori” in modo da coprire l’ammanco, ma, anche se i conferimenti risultavano contabilmente correttamente registrati, essi non potevano ritenersi validi in quanto non vi era stata nessuna delibera assembleare che avrebbe dovuto giustificare tali versamenti.

Secondo la sentenza, la questione è da ritenersi un’anomalia contabile che fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo.

Per tali motivi, l’amministrazione finanziaria non era tenuta a fornire ulteriori prove per dimostrare il rapporto tra la movimentazione del conto cassa e gli ulteriori ricavi accertati.

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