Passa il tempo e la riforma pensioni sembra sempre più lontana. Tutto è passato in secondo piano dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ma i lavoratori attendono di conoscere il loro destino quando anche quota 102 finirà quest’anno.

I sindacati tornano quindi a fare pressing sul premier Draghi affinché riprenda il confronto con le parti sociali. In particolare a riportare alta l’attenzione è Patrizia Volponi, Segretaria della Fnp-Cisl, la quale ribadisce l’importanza di non lasciare ogni decisione all’ultimo momento.

Uscita flessibile a 62 anni o con 41 di lavoro

L’obiettivo dei sindacati è quello di riportare le pensioni anticipate a 62 anni. Come avveniva con quota 100. Una soglia che non può essere garantita se non con qualche forma di penalizzazione col ricalcolo contributivo magari. In tutto o in parte, come propone l’economista Raitano.

Ma anche, in alternativa, con 41 anni di contributi (quota 41) a prescindere dall’età anagrafica. Soglia già prevista per i lavoratori precoci ma che potrebbe essere estesa a tutti anche se non si ha lavorato prima dei 19 anni.

In proposito, fa notare la Uil pensionati Sardegna, si evidenzia la necessità di una riforma delle pensioni “che riporti elasticità ed equità nel sistema pensionistico e una flessibilità diffusa d’uscita dal lavoro”

Perché la pensione a 67 anni è sbagliata

Andare in pensione a 62 non è sbagliato. Anzi è più che giusto, se si considera qual è la vita media degli italiani. Si campa di più rispetto al passato, ma si gode la pensione per meno tempo.

La vita media degli italiani è oggi di 82,8 anni, la più lunga in Europa insieme a quella degli spagnoli. Ma andando in pensione a 67 anni, ci si gode la tanto agognata rendita in media per soli 15,8 anni.

Secondo uno studio di Itinerari Previdenziali, la pensione dovrebbe durare circa 20-25 anni per costituire una rendita ottimale. Un welfare perché funzioni bene non deve né guadagnare né perdere con la previdenza.

In questo momento, però, con il pensionamento tarato a 67 anni di età, lo Stato ci guadagna, mentre i lavoratori ci perdono.

Oltretutto restare al lavoro dopo i 60 anni è nella maggior parte dei casi controproducente. Ne va della produttività, della crescita economica e dell’occupazione giovanile.