Sarà un’edizione da record il 53-esimo summit del World Economic Forum (WEF) a Davos, Svizzera, che inizia oggi per concludersi il 20 gennaio. Le presenze previste sono ben 2.700, di cui 1.500 business leader, 600 CEO, 56 ministri delle Finanze e 52 capi di stato e di governo. Il titolo della manifestazione di quest’anno è “Collaborare in un mondo frammentato, per risolvere le crisi odierne e indirizzare le sfide future”. Previsti 20 panel con una miriade di incontri bilaterali tra i partecipanti. Questa sarà la prima edizione di gennaio in era Covid.

L’ultima risale al gennaio del 2020, quando il mondo ancora ignorava l’esistenza della pandemia. L’anno successivo, la manifestazione si tenne in videoconferenza e l’anno scorso fu organizzata in presenza, ma a maggio.

A Davos da decenni si ritrovano i leader mondiali e dell’economia per discutere di affari e delle sfide in un mondo che cambia. Una settimana all’anno in cui le élite si ritrovano per scambiarsi idee e proposte. I detrattori la vedono diversamente. Pensano che nel migliore dei casi si tratti di un vertice inutile e denunciano l’ipocrisia dei partecipanti. Blaterano di lotta ai cambiamenti climatici, ma poi arrivano nella località alpina con 200 voli di altrettanti jet privati al giorno. E ci sarebbe una distanza abissale tra l’ambiente patinato della location elvetica e i problemi degli abitanti del pianeta.

Anche per questo Davos è stata storicamente snobbata da leader attenti alla loro immagine. Barack Obama non vi partecipò mai da presidente degli Stati Uniti, mentre il successore Donald Trump vi andò per due volte. Quest’anno, solo un leader del G7 ha deciso di presenziare. Si tratta del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il presidente americano Joe Biden manderà l’Inviato per il Clima, John Kerry, e Katherine Tai per il Commercio. Il britannico Rishi Sunak ha voluto tenersene alla larga.

Già è accusato dalle opposizioni di essere distante dall’uomo comune, accreditato di un patrimonio personale di 730 milioni di sterline (circa 823 milioni di euro). Vuole risparmiarsi di essere assimilato all’élite di Davos, così mal vista da gran parte dell’opinione pubblica mondiale.

Davos tra carovita e globalizzazione

E non è un caso che i grandi della Terra stiano disertando proprio quest’anno. Il carovita è diventato il primo problema in cima alle preoccupazioni di numerosissimi popoli, tra cui nordamericani ed europei. I leader vogliono evitare di indispettire gli elettori facendosi ritrarre nell’ambiente chic di Davos, che i partecipanti troveranno stavolta privo di neve. Ennesimo segno dei tempi. Qualcuno si chiede se il WEF abbia ancora un senso, se davvero manifestazioni del genere siano utili alla circolazione delle idee. Senz’altro, lo sono per la stipulazione di accordi commerciali e finanziari. Perché è questo che avviene ordinariamente. Nessuno cambia programma di governo o le proprie idee personali e politiche a seguito di una partecipazione a Davos.

Per l’Italia sarà presente il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Insomma, basso profilo di Roma, come del resto per gran parte delle altre grandi capitali. Scholz ha avuto il coraggio di distinguersi, forse consapevole che l’immagine del capo del governo della prima economia europea abbia bisogno di lanciarsi tra l’élite mondiale. I primi tredici mesi di governo sono risultati incolori sul piano internazionale. Chissà che Davos non rappresenti un punto di svolta per il cancelliere tedesco. La sua predecessora Angela Merkel era solita partecipare, a conferma di quanto tenesse proprio all’immagine della Germania nel contesto internazionale. I tedeschi sono tra i più strenui difensori della globalizzazione, di cui il WEF di Davos è, in un certo senso, l’evento bandiera. Anche del rischio di tornare indietro nelle relazioni commerciali e finanziari si parlerà certamente.

Quest’anno non è stato invitato alcun rappresentante della Russia, né è prevista la presenza del presidente cinese Xi Jinping. Sarà un vertice particolare per via della crisi dell’energia ancora in corso in Europa, la guerra tra Russia e Ucraina e la lotta delle banche centrali all’alta inflazione. Per anni a Davos si è raccontato un mondo dal denaro facile e a basso costo. Per la prima volta dopo un decennio, la musica sta cambiando. A tale proposito, potrà dire la sua Christine Lagarde della Banca Centrale Europea (BCE). Invitato e presente anche il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva. Ma faranno certamente molto rumore le assenze eccellenti, da Biden ad Emmanuel Macron, passando per Justin Trudeau a Sunak e alla nuova premier italiana Giorgia Meloni. E chissà se gli organizzatori ne trarranno le dovute riflessioni sul perché di quelle sedie vuote.

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