“Chi chiama un mago, sbaglia, è un deficiente. Perché nella vita ci vuole il lavoro, l’onestà …”. E’ una Wanna Marchi redenta quella che si è presentata insieme alla figlia Stefania Nobile nello studio di Barbara d’Urso alcuni giorni fa. Dopo avere scontato una pena di 9 anni e 6 mesi per il reato di truffa, l’ex tele-venditrice cerca di rifarsi una vita e si toglie qualche sassolino dalla scarpa quando in TV spiega di essere stata punita per “avere venduto sale ai deficienti“.

Perché alla fine questa frase, possa piacere o meno, sintetizza il cuore della vicenda. I giudici hanno accertato fino in Cassazione che Wanna Marchi si sia resa colpevole di reati. Di questo l’opinione pubblica non può che prendere atto con rispetto per le sentenze. Ma resta la riflessione su quale spaccato d’Italia sia emerso un ventennio fa e se da allora la società sia cambiata, ed eventualmente in meglio.

Wanna Marchi non solo in TV

Il sale ai deficienti continua, ahi noi, ad essere venduto quotidianamente. E non in TV, bensì persino nei palazzi istituzionali così tanto rispettati e venerati da certa propaganda “mainstream”. Di teleimbonitori alla Wanna Marchi è piena l’Italia. Ce ne sono nei salotti buoni della finanza, in politica, nell’imprenditoria, in certo associazionismo. Non ti urlano in faccia parolacce e quasi sempre si presentano al cospetto della potenziale “vittima” con tono educato e ben abbigliati. Perché si sa, l’abito non fa il monaco, ma anche l’occhio vuole la sua parte.

Il punto è che, così come qualche vittima di Wanna Marchi arrivò a pagarle 300 milioni di vecchie lire (oltre 150.000 euro) per ricevere in cambio qualche busta di sale e i numeri del Lotto, ancora oggi milioni e milioni di italiani sono disposti a credere per convenienza egoistica che gli asini volano.

E guardate che non si tratta di una storia recente. Negli anni in cui la politica era ancora chic, i partiti elargirono prebende a tutti e tutti le accettarono di buon grado. Si pagavano poche tasse e si ricevevano elevati sussidi e servizi. A nessuno sorse il dubbio che ciò non fosse sostenibile alla lunga.

Quando l’Italia rimase con le pezze nel deretano, i beneficiari di quel corso ventennale di sperperi a fiumi si riscoprirono “vittime” di un sistema. Iniziarono a inveire contro le Wanna Marchi del caso e a lanciare loro insulti davanti alle aule di tribunale e monetine all’uscita di un albergo. Gli italiani, che erano passati in poco tempo da Piazza Venezia a Piazzale Loreto, ancora una volta si ritennero inconsapevoli “truffati” da loschi figuri.

Italia piena di imbonitori e false vittime

Negli ultimi decenni, la storia si è ripetuta con diversi scandali finanziari e con il crollo della mai nata Seconda Repubblica. I partiti (tutti) sono stati fatti oggetto di pesanti recriminazioni per averci spinti nel burrone, come se a votarli fosse stato in passato un qualche popolo marziano. Ancora oggi, l’anti-politica si alimenta di toni e pensieri sguaiati di chi, nella stragrande maggioranza dei casi, a tutti i livelli ha goduto dei benefici della mala politica.

Mandare in galera Wanna Marchi fu al tempo un rito catartico per un’opinione pubblica consapevole di avere lisciato il pelo per molto tempo a certo modo di fare affari e di concepire la stessa televisione. Nessuno osò interrogarsi sull’anomalia di un Paese, in cui centinaia o forse migliaia di persone siano disposte a vendere casa per credere a un mago brasiliano che ripete stupidaggini al ritmo di una al secondo. Così come nessuno osò chiedersi trenta anni fa se i politici “rubavano”, come vulgata comune volle, o se semplicemente stavano espletando il mandato assegnato loro dagli italiani, ovvero di distruggere il futuro per vivere al massimo il presente.

Wanna Marchi ci fa paura ancora oggi, perché siamo un popolo incline, per presunta furbizia ed irrefrenabile egoismo, a cedere a qualsivoglia imbonitore capace di farci compiere un passo in avanti senza fatica e senza merito.

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