Ci pensereste a un’Italia con 300 miliardi di euro di tasse in meno? Un sogno irrealizzabile? Sarà, ma alla fine degli anni Settanta era proprio questa la situazione. Nel 1979, la pressione fiscale era ancora al 25% del pil, quando nel 2016 ci siamo rallegrati per una discesa dello zero virgola al 43,3%. Oltre 18 punti percentuali in più oggi rispetto ad allora, qualcosa che corrisponde a 300 miliardi di tasse in più, rapportando il dato al pil odierno. Pagheremmo complessivamente 400 e non più 710 miliardi per sostenere la Pubblica Amministrazione.

Peraltro, come abbiamo visto ieri con un altro grafico, il boom della pressione fiscale non solo non ha portato a un calo del debito pubblico sul pil, ma al contrario ne ha accompagnato la crescita. (Leggi anche: Più tasse e più debiti, ricetta demenziale)

Tornando alla pressione fiscale di fine anni Settanta, scopriamo che essa proprio da allora inizia a salire vertiginosamente, arrivando al 33,8% già nel 1983 e al 38,6% nel 1995. Ci pensate cosa significherebbe un aumento del peso delle imposte di quasi il 9% del pil in appena un quadriennio. Considerate che tra il 2011 e il 2014, per effetto delle politiche di austerità del governo Monti, la pressione fiscale in Italia è cresciuta di meno del 2% del pil, ma provocando non solo una profonda recessione dell’economia, bensì pure un’insurrezione elettorale, con il boom di consensi per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che contro l’austerità fiscale ci ha impostato una campagna elettorale nel 2013.

Stangata fiscale negli anni Ottanta

Certo, i livelli di partenza di quasi 40 anni or sono erano assai più bassi, ma come mai la Prima Repubblica sembrò persino vivere una ripresa del consenso politico all’inizio degli anni Ottanta, quando la tassazione su famiglie e imprese, invece, esplodeva? Nel grafico di cui sopra abbiamo evidenziato il rapporto tra pressione fiscale e inflazione. (Leggi anche: Pressione fiscale in Italia cresciuta di quasi il triplo dal 2005)

Con la seconda crisi petrolifera del 1979, l’Italia, così come le altre economie importatrici, subiva un’impennata dei prezzi interni, che crescevano di anno in anno a due cifre, arrivando al massimo storico del +21,1% nel 1980.

Tra l’inizio del 1979 e la fine del 1995, l’inflazione cumulata si attestava al 364%, mentre il pil nominale saliva di 6,4 volte. Nello stesso arco di tempo, però, il gettito fiscale si moltiplicava per 8,5 volte. In particolare, quello derivante dall’IRPEF quasi raddoppiava dal 5,5% al 10% del pil, quello IRPEG (attuale IRES) dall’1,8% al 3,5%, la tassazione sulle proprietà s’impennava dallo 0,9% al 2,2%, quella dell’IVA passava dal 7,9% al 10,5% del pil e il gettito contributivo dal 10% al 12,1%.

Il drenaggio fiscale spiegato con un esempio

Direte, ma che c’entra l’inflazione con la pressione fiscale? Avete mai sentito parlare di “drenaggio fiscale” o dell’espressione più cool inglese “fiscal drag”? Si tratta di un fenomeno, per cui il peso delle tasse sui redditi dei contribuenti sale per l’aumento nominale dei redditi stessi, attraverso il meccanismo progressivo dell’imposizione fiscale.

Facciamo un esempio: lo stato tassa i primi 10.000 euro di reddito al 20% e i redditi tra 10.000 e 20.000 euro al 30%. Supponiamo che Tizio abbia dichiarato nell’anno X 9.000 euro e in quello successivo 12.000 euro. Nel primo caso, egli ha dovuto versare al fisco 1.800 euro (il 20% di 9.000 euro), nel secondo ha sborsato il 20% sui primi 10.000 euro e il 30% sugli altri 2.000 euro, ovvero 2.000 + 600 euro = 2.600 euro. Nel primo caso, l’incidenza del fisco sui suoi redditi è stato del 20%, nel secondo del 21,7% (2.600 / 12.000).

L’effetto perverso dell’alta inflazione sui redditi

Ora, è successo che il contribuente Tizio abbia subito un aumento della pressione fiscale da un anno all’altro. Nulla di inconsueto, se ciò fosse dovuto alla sola progressività delle imposte per l’aumento dei redditi dichiarati.

Tuttavia, immaginiamo che nel passaggio dal primo al secondo anno considerato, il livello dei prezzi sia aumentato del 50%. Dunque, i 12.000 euro dichiarati varrebbero il 50% in meno dell’anno prima, in termini reali, come se Tizio avesse percepito 8.000 euro (12.000 / 1,5). Eppure, egli ha dovuto pagare più tasse in rapporto al reddito, come se fosse più ricco, mentre a tutti gli effetti sarebbe più povero.

Il drenaggio fiscale è un meccanismo subdolo, che accresce il peso della tassazione sui contribuenti, senza che nemmeno se ne rendano conto. Esso è dovuto al mix tra inflazione e progressività delle imposte. Quanto accaduto dalla fine degli anni Settanta sarebbe, in buona parte, proprio questo: l’inflazione galoppante ha ridotto il valore reale degli scaglioni di reddito ai fini fiscali, ma ha aumentato il peso della tassazione. Una volta che l’inflazione si è stabilizzata, anche la tassazione è rimasta sostanzialmente ai livelli elevati a cui si era nel frattempo portata. I contribuenti italiani hanno subito, quindi, una stangata come forse in nessun’altra economia avanzata, ma coperta dall’illusione monetaria generata dall’inflazione alta. Rifuggite da chi anela all’inflazione. Potrebbe nascondere intenti meno pacifici di quelli che crediate.