Era il 26 luglio del 2012 e la tempesta finanziaria infuriava contro l’euro, con lo spread BTp-Bund ai massimi di sempre e le banche spagnole a un passo dal tracollo, tanto che sui mercati ci si era convinti che la fine della moneta unica sarebbe stata questione di settimane o mesi. Servì quel provvidenziale “whatever it takes” del governatore della BCE, Mario Draghi, che da Londra promise di “fare tutto quello che serve” per salvare l’euro, aggiungendo “e credetemi, basterà”.

L’unione monetaria veniva definita dallo stesso Draghi un progetto “irreversibile”. La speculazione si arrestò gradualmente, l’allarme rientrò, i problemi rimasero tutti sul tappeto (fino ad oggi), ma la fase critica più acuta quanto meno è sembrata essere superata. Ma venerdì scorso è stato sempre il numero uno di Francoforte a stupire gli ambienti finanziari, sostenendo che sarebbe possibile uscire dall’euro, anche se prima bisognerebbe regolare i pagamenti tramite il Target 2. Lo ha spiegato in risposta a una domanda postagli da due europarlamentari italiani.

I messaggi di questa svolta clamorosa nel linguaggio del massimo tutore dell’euro sono ben tre. Uno è rivolto proprio all’Italia e a quanti hanno al loro interno movimenti euro-scettici abbastanza forti: volete uscire dall’euro? Nessuno vi trattiene a ogni costo, purché prima regoliate i rapporti di debito/credito vigenti con il resto dell’Eurozona. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro? Decisivi i prossimi 12 mesi)

Le condizioni per uscire dall’euro

Per l’Italia, significherebbe sostenere un previo pagamento di passività per 358,6 miliardi di euro, stando ai dati al 30 novembre scorso, record in tutta l’area in termini assoluti. I saldi del Target 2 rappresentano i debiti o i crediti vantati dalle banche commerciali e centrali di ciascuno dei 19 stati membri dell’Eurozona verso il resto dell’area. In altre parole, le banche italiane dovrebbero versare quasi 360 miliardi alle colleghe tedesche, francesi, spagnole, etc.

Per contro, la Germania vanta un surplus di ben 754,1 miliardi. Sono crediti, che le banche tedesche posseggono verso gli altri 18 partner dell’euro, verosimilmente in gran parte verso Italia e Spagna.

E, infatti, qui vi è il secondo messaggio di Draghi, stavolta rivolto a Berlino: non soffiate sul fuoco, perché se spingerete l’Italia ad uscire dall’euro, è evidente che le sue banche non avranno in un solo colpo tutti i 360 miliardi di euro da pagare ai creditori dell’area, per cui a catena fallisce tutto il sistema, anche perché con la certa svalutazione che subirebbe la nuova lira introdotta da Roma, il peso dei debiti italiani (in euro) diverrebbe insostenibile. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro, l’inevitabile conclusione della Germania)

 

 

 

 

UE in crisi come mai prima

Un terzo possibile messaggio sarebbe quello lanciato alla Commissione europea: non confidate nell’infinita e ostentata volontà della BCE di mettere in sicurezza l’Eurozona, perché la misura è colma. O voi commissari fate pressione sul governo tedesco, perché allenti le sue politiche fiscali e contribuisca così ad accelerare la ripresa in tutta l’area, oppure sul fronte degli stimoli monetari il lavoro è finito e alla prossima eventuale crisi di fiducia, la BCE potrà fare ben poco. Insomma, il governatore sembra avvertire tutti di smetterla di dormire sugli allori, confidando nel suo impegno a salvare senza se e senza ma l’euro, perché le cose non starebbero esattamente così.

In un solo colpo, Draghi spera di mettere in riga gli euro-scettici, i tedeschi e i commissari. Ai primi, sembra avvertire che se vogliono far saltare l’euro, possono persino riuscirci con il dovuto consenso elettorale necessario, ma dopo dovranno assumersi le responsabilità della loro iniziativa. Ai secondi suggerisce non solo quella “pazienza” di cui ha parlato in conferenza stampa il giovedì scorso, bensì pure un atteggiamento meno inflessibile verso il Sud Europa, altrimenti a saltare sarebbero proprio i loro stessi interessi.

Infine, ai terzi sembra quasi chiedere di darsi una mossa a ripristinare un maggiore equilibrio nella crescita economica dell’Eurozona, perché di miracoli in eterno Francoforte non è capace. (Leggi anche: Tassi zero di Draghi a lungo? Li pagherà l’Italia)

Il momento non potrebbe essere più delicato per l’intera UE, che oltre ad essere attraversata da tensioni interne mai così forti – siamo alla vigilia di tre importanti elezioni in Olanda, Francia e Germania, ovvero tre stati fondatori della UE e ognuno alle prese con movimenti euro-scettici abbastanza vigorosi e in qualche caso potenzialmente vincenti – si appresta a negoziare per la prima volta l’uscita di uno stato membro, ovvero del Regno Unito con la cosiddetta Brexit, mentre il presidente USA, Donald Trump, a differenza del suo predecessore Barack Obama, non solo non intende difenderne l’unità, ma anzi si è felicitato pubblicamente con i britannici per essersi staccati da Bruxelles e caldeggia nuove fuoriuscite. Un’eventuale ondata di sfiducia contro l’euro potrebbe essere fatale non solo all’unione monetaria, ma a tutta la costruzione europea. Vedremo d’ora in poi se davvero e in che misura i mercati finanziari avranno compreso la portata delle parole di Draghi.