All’inizio del 2017, il valore del dollaro è sceso insieme alle aspettative di inflazione, anche se storicamente è molto inusuale che si muovano in modo allineato. In passato, infatti, il dollaro è stato correlato negativamente con l’inflazione, in quanto il dollaro più forte fa scendere i prezzi sulle importazioni per i consumatori statunitensi.

 

Dopo le elezioni presidenziali USA di novembre 2016 – osserva Brian Smith, Senior Vice President US Fixed Income, TCW –  il dollaro e le aspettative di inflazione sono diventati correlati positivamente, a causa dell’ ”effetto Trump”.

Le attese per i massicci stimoli fiscali e il taglio delle tassi avrebbero dovuto avere un impatto reflativo sull’economia di fine ciclo, permettendo che l’inflazione salisse nonostante la politica più restrittiva della Fed. Questa correlazione positiva è proseguita quest’anno, ma ora sia dollaro che aspettative di inflazione si stanno muovendo nella direzione opposta, in quanto le attese di inasprimento della Fed e le aspettative di inflazione hanno invertito simultaneamente la rotta al ribasso.

 

La correlazione fra dollaro e inflazione USA

 

Tuttavia, pensiamo – prosegue Smith – che sia improbabile che questa insolita correlazione positiva tra dollaro e inflazione continui. In uno scenario di inasprimento delle politiche monetarie, possono verificarsi sia un apprezzamento della valuta che un’accelerazione dell’inflazione, ma è molto difficile che le due eventualità avvengano simultaneamente. Perché l’inflazione salga davvero, la Banca Centrale deve mantenere i tassi troppo bassi, indebolendo quindi la moneta. Se poi i tassi vengono alzati troppo aggressivamente, facendo apprezzare la divisa, il grado di aumento che l’inflazione riesce a mettere a segno ne risulta limitato. Di conseguenza, la correlazione negativa del dollaro con l’inflazione più alta è causata da un riprezzamento dei mercati della parte anteriore della curva, dovuto a un cambiamento delle aspettative sull’inflazione.

 

Quali saranno le implicazioni se il dollaro continuerà a deprezzarsi?

 

A livello di Fed, un continuo indebolimento del dollaro aumenterebbe il rischio che la Fed incorresse in un eccesso di rialzi dei tassi che, a sua volta, potrebbe spingere l’economia in recessione, con tassi su livelli che, in precedenza, sarebbero stati considerati ben al di sotto del livello desiderato di lungo termine.

Il dollaro, infatti, non agirebbe più da “freno naturale” dell’inflazione e i consumatori statunitensi si troverebbero a dover affrontare condizioni di finanziamento più stringenti e prezzi più elevati. In altre parole, l’eventuale continuo deprezzamento del biglietto verde risulterebbe in contrasto con l’attuale direzione della Fed verso una politica più restrittiva e potrebbe dunque sollevare sfide di lungo termine.

 

Dollaro troppo debole rischia di minare la crescita globale

 

La debolezza del dollaro provocherebbe tensioni notevoli anche a livello globale, in quanto comprometterebbe i tentativi degli altri Paesi avanzati di innescare un processo reflativo nelle rispettive economie, tramite la combinazione tra stimoli monetari e indebolimento monetario. Gli impatti negativi dell’apprezzamento valutario andrebbero ricercati altrove, ma visto che la maggioranza delle economie globali sta ancora cercando di allontanarsi dal rischio deflazione, non è chiaro quale economia potrebbe essere sufficientemente solida da prendersi questa responsabilità. Il mercato sta iniziando a dubitare che gli Stati Uniti siano in grado di giocare questo ruolo. A meno che i tassi di crescita di tutte le economie sviluppate non incrementino simultaneamente, lasciando al contempo spazio per un rialzo contingente dei tassi, alcuni Paesi dovranno per forza di cose accettare il freno dovuto all’apprezzamento valutario. Gli investitori dovrebbero quindi guardare attentamente al forex e alle aspettative di inflazione. Questi indicatori offriranno spunti sulle prospettive che l’economia globale ha di sfuggire alla deflazione che persiste dalla crisi finanziaria.