L’ultimo paper pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale lancia un appello all’Unione Europea (UE), affinché provveda a varare un secondo Recovery Fund contro la crisi energetica. Nel documento, si legge che il continente dovrebbe sfruttare meglio la sua capacità fiscale per reagire agli shock. Tra prezzi di luce e gas alle stelle e tassi d’interesse in rialzo, spiega l’istituto, la UE si starebbe avviando verso una recessione economica. A suo dire, i governi nazionali non sarebbero tutti nelle condizioni di sostenere le rispettive economie, per cui l’Europa dovrebbe bissare il successo riportato nella lotta alla pandemia.

Nel 2020, quando il Covid costrinse gli stati a imporre chiusure e a spendere parecchi denari per la crisi sanitaria, Bruxelles reagì unita. A marzo, la BCE varò un programma per l’acquisto di titoli di stato (PEPP), così da tenere bassi i costi d’indebitamento dei governi. Nei mesi seguenti, la Commissione presentò un piano da 750 miliardi di euro tra sussidi (390 miliardi) e prestiti (360 miliardi), destinato ad aiutare le economie in affanno.

Il precedente contro la pandemia

PEPP e Recovery Fund fermarono la speculazione sui mercati. Gli investitori si resero conto che, a differenza del 2010-’11, quando ciascun paese dell’Eurozona marciò per conto proprio, stavolta nessuno sarebbe stato lasciato solo. E fu così, tanto per guardare in casa nostra, che potemmo varare misure in deficit per 180 miliardi in due anni per sostenere il PIL e le categorie colpite dalla pandemia. E tutto questo a costi mai così bassi nella nostra storia.

Stavolta, è diverso. La BCE ha smesso di acquistare titoli di stato, perché l’inflazione è salita alle stelle e serve adesso ridurre la liquidità sui mercati. Di conseguenza, il costo del debito è salito nettamente, anche perché sempre la BCE sta alzando i tassi d’interesse. E ci sono anche grosse resistenze al varo di un secondo Recovery Fund nel Nord Europa.

Paesi come Olanda e Germania notano che ancora devono essere sfruttate le risorse del primo fondo, per cui non avrebbe senso inventarsene un altro.

Recovery Fund fuga dalla realtà

La verità è più profonda: il Nord Europa non si fida di paesi come l’Italia. Se possono farne a meno, vogliono evitare di indebitarsi in comune con noi. I frequenti cambi di governo e il dibattito politico a tratti surreale a Roma hanno confermato negli anni i pregiudizi verso il Bel Paese, percepito irriformabile e scriteriato. C’è di più: a forza di emettere debiti in comune, persino la UE rischia di perdere lo status di debitore massimamente affidabile. Il rating AAA non lo garantisce il Padreterno, ma è una medaglia sudata e che quotidianamente va meritata.

Indebitarsi a nome di paesi che da soli probabilmente sarebbero declassati a “spazzatura” non è un esercizio che un ente sovranazionale può permettersi di compiere a cuor leggero. Anche perché a traballare stavolta vi è anche, se non soprattutto, l’economia tedesca. E se la Germania finora ha garantito i debiti degli altri attraverso il Recovery Fund, consentendo ai partner del continente di prendere denaro in prestito sottocosto, non è detto che questa garanzia regga dinnanzi anche alla grave crisi energetica che sta travolgendo la locomotiva d’Europa.

Infine, appellarsi all’emissione di nuovi debiti per risolvere l’ultima crisi in ordine di tempo dà la misura delle condizioni in cui versa ormai gran parte dell’Occidente. Le economie ricche appaiono incapaci di ricavarsi negli anni buoni spazi di manovra fiscale da utilizzare negli anni cattivi. I debiti non fanno che crescere, data la scarsa propensione dei governi a tagliare la spesa pubblica e/o ad aumentare le tasse per far quadrare i conti. Il Recovery Fund vuole essere un modo per sfuggire alla realtà nei singoli stati europei.

Ma il conto da pagare prima o poi arriva lo stesso. I pasti gratis non esistono.

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