La Groenlandia ha avuto i suoi 15 minuti di celebrità, anzi potrebbe averne ancora molti di più. La più grande isola al mondo, coperta di ghiaccio e situata geograficamente nell’estremo Nord America, ma amministrativamente appartenente alla Danimarca, pur godendo di ampia autonomia, è diventata oggetto delle attenzioni di Donald Trump. Il presidente americano è interessato a comprarla, sostenendo che si tratterebbe di “un grande affare immobiliare”. L’indiscrezione era apparsa sui quotidiani negli USA nei giorni scorsi ed è stata confermata dal diretto interessato, che ha pubblicato un tweet ironico con allegata un’immagine della Trump Tower sull’isola e un commento “Prometto di non farlo”.

Che non stiamo parlando di uno scherzo di tarda estate lo si capisce dalla reazione della premier danese Mette Frederiksen, che ha rispedito l’offerta al mittente, sostenendo che “la Groenlandia non è americana, non è danese, ma è groenlandese”. Dalla maggioranza di governo a Copenaghen infuriano i commenti negativi sulla proposta indecente di Washington, ma anche l’opposizione di destra non usa mezzi termini per bocciarla. Dal canto suo, Trump non si scompone, notando come la Danimarca spenda 700 milioni di dollari all’anno per mantenere le comunità groenlandesi di appena 55.000 abitanti e spiega di essere convinto che sarebbe per loro meglio se passassero sotto il controllo degli USA.

Nel frattempo, il “no” della premier ha indispettito il presidente, che ha annullato la visita ufficiale nello stato scandinavo, probabilmente posticipandola di qualche settimana. Nel 1946 ci aveva provato l’allora presidente Harry Truman a ingolosire i danesi con un’offerta da 100 milioni. Oggi, invece, le stime parlano di un prezzo teorico che arriverebbe a 500 miliardi. Ed esiste un precedente proprio con la Danimarca: nel secolo scorso, gli USA comprarono da Copenaghen quelle note oggi come Isole Vergini, concedendo la cittadinanza americana ai loro abitanti.

Perché l’interesse per la Groenlandia?

Ma perché la Groenlandia? Esisterebbero diverse ragioni.

Anzitutto, di continuità territoriale. Trump e, più in generale, gli USA ambiscono a non avere porzioni di territorio nel Nord America appartenenti amministrativamente a realtà terze. Secondariamente, c’è il timore che Cina e Russia facciano partire in grande stila la conquista dell’Artico, così come 50 anni fa si scatenò tra le due superpotenze di allora la “guerra” per andare nello spazio. Gli americani posseggono già un’unità militare sull’isola, la base di Thule Air, strategica in ottica anti-russa. E, infine, la Groenlandia risulterebbe ricca di minerali, tra cui oro, zinco, piombo, ferro e persino diamanti, seppure (ad oggi) di difficile estrazione per le condizioni climatiche rigidissime.

Il discorso cambierebbe se la tecnologia consentisse, magari in un futuro non troppo lontano, di mettere le mani su queste immense risorse naturali. In quel caso, l’America si sarebbe assicurata decenni di ulteriore benessere e di supremazia economica. Già, ma i danesi non vendono. A meno che la proposta fosse così indecente da risultare imperdibile. La Danimarca è un florido stato del Nord Europa, con un pil nell’ordine dei 300 miliardi di euro e un debito pubblico a 100 miliardi. Se l’America le offrisse una cifra tale da azzerare il suo debito e di mettere da parte una cifra cospicua, un po’ come la Norvegia riesce da decenni a fare grazie al petrolio? O se le venisse assicurata una rendita per un numero sufficientemente lungo di anni?

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