Proseguono le trattative tra lo speaker della Camera, Kevin McKarthy, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Malgrado le dichiarazioni di reciproca soddisfazione, un accordo per aumentare il tetto al debito americano non c’è ancora. E il segretario al Tesoro, Janet Yellen, avverte che dall’1 giugno rischia di scattare il default. I repubblicani, maggioranza alla Camera, ribattono che la “deadline” sarebbe probabilmente più in là, grazie tra l’altro alle entrate fiscali derivanti dalle dichiarazioni dei redditi. Chiedono tagli alla spesa federale, mentre i democratici oppongono l’aumento delle tasse.

La sensazione è che in pochi a Washington abbiano idea della gravità in cui versino i conti pubblici della superpotenza.

Crisi fiscale in cifre

Il limite di debito massimo autorizzato è di 31.400 miliardi di dollari. Sarà innalzato, com’è accaduto per decine e decine di volte. Il problema è che non esiste un accordo bipartisan per limitarne la crescita. Le promesse elettorali dei due schieramenti oramai sono realizzate da decenni in deficit. Che si tratti di tagliare le tasse o di garantire un minimo di assistenza sanitaria a tutti i cittadini, nessun governo si pone più di come reperire le coperture finanziarie. Washington è una Buenos Aires che ce l’ha fatta!

Dal 2007 al 2022 il debito americano è esploso di 22.000 miliardi di dollari, moltiplicandosi per 3,36 volte e raddoppiando in rapporto al PIL da quasi il 65% a poco meno del 130%. Il deficit atteso per quest’anno dall’Ufficio di Bilancio del Congresso è di 1.400 miliardi, all’incirca quanto nel 2022. Per il prossimo decennio è stimato a una media di 2.000 miliardi all’anno. Lo scorso anno, a fronte di una spesa federale di 6.270 miliardi le entrate furono di appena 4.900 miliardi. In pratica, il disavanzo è stato di quasi un quarto rispetto alla spesa.

E qualcuno si chiede ancora perché l’inflazione negli States sia “sticky”, malgrado i tassi d’interesse al massimo da quindici anni.

Che il rinvio da mesi dell’aumento al tetto del debito non possa contribuire a calmierare il deficit, ponendo un freno anche ai prezzi al consumo? Il mancato coordinamento tra politica fiscale e monetaria è alla base degli enormi squilibri macroeconomici di cui soffre palesemente la superpotenza: alta inflazione, deficit fiscali e deficit commerciale. Se non fosse per quel dollaro valuta di riserva mondiale, gli Stati Uniti sarebbero in condizioni assai simili a quelle dell’Italia.

Tetto al debito e lascito di Henry Kissinger

Per questo gli americani devono ringraziare un uomo che sabato 27 maggio compirà la bellezza di 100 anni. E’ l’inossidabile e immortale Henry Kissinger, stretto collaboratore del governo ai tempi di Richard Nixon. Fu lui a convincere l’allora presidente a volare in Arabia Saudita dopo avere posto fine all’Accordo di Bretton Woods con la mancata convertibilità del dollaro in oro. I due incontrarono Re Faisal e strinsero un’intesa d’acciaio: sicurezza militare garantita al regno in cambio delle sue esportazioni di petrolio solo in dollari. Nacque il sistema dei cosiddetti petrodollari. Ancora oggi permette agli Stati Uniti di vivere sopra le loro possibilità senza pagarne lo scotto.

L’alta domanda di dollari sui mercati internazionali tiene alto il cambio americano, proteggendo i consumatori dall’inflazione. La FED può così tenere i tassi più bassi di quanto altrimenti dovrebbe e governo, imprese e famiglie possono indebitarsi a costi relativamente contenuti. Questo “privilegio esorbitante”, per dirla con le parole dell’allora ministro delle Finanze e futuro presidente francese Valery Giscard d’Estaing, è alla base dell’irresponsabilità fiscale diffusa a Washington. Nessuno si preoccupa più di tanto di fare debiti, perché confida che il mercato li continuerà a finanziare senza fiatare. Solo che il mondo odierno inizia ad essere molto meno unipolare. Attori come la Cina si sono già affacciati sullo scacchiere internazionale e reclamano un posto in società.

L’afflusso unidirezionale dei capitali non è più una certezza assoluta.

Kissinger spegnerà le 100 candeline questo sabato in un’America che continua a beneficiare del suo acume geopolitico di oltre mezzo secolo fa. Il problema è che non sembra avere eredi tra i dirigenti politici. Tutti guardano al dito e non alla luna. Nessuno s’interroga seriamente sulla sostenibilità di un debito che tenderà a crescere, stando alle stesse stime ufficiali, al ritmo di 2.000 miliardi all’anno. La credibilità di un sistema intero ne è minacciata gravemente. Forse non a caso lo stesso Kissinger, realista convinto, si è mostrato contrario sin dall’inizio allo scontro con la Russia e invita l’amministrazione Biden a trovare un accordo. E’ consapevole che gli Stati Uniti non siano quelli di uno o due decenni fa. I soldi per un’eventuale campagna militare di larga scala non ci sarebbero più.

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