Le Commissioni Finanze di Camera e Senato hanno dato il via libera nei giorni scorsi alle proposte di riforma fiscale del governo Draghi. Abbiamo già qualche certezza: nessuna patrimoniale, né una rivalutazione dei valori catastali come richiesto dal PD. Importanti novità arriverebbero, invece, sul fronte della tassazione delle rendite finanziarie.

Al momento, queste sono sottoposte a un’aliquota del 26% nella generalità dei casi, salvo per i titoli di stato (12,5%) e i fondi pensione (20%). Si vocifera che l’esecutivo punterebbe ad equiparare tale aliquota a quella minima versata dai contribuenti IRPEF del 23%.

Un modo per sostenere il ceto medio, il quale beneficerebbe anche dello sfoltimento fiscale atteso per il terzo scaglione di reddito, quello compreso tra 28.000 e 55.000 euro e sottoposto all’aliquota del 38%.

Non è solo un fatto di livello impositivo. La tassazione delle rendite finanziarie sarebbe finalmente resa più razionale. L’Italia è l’unico stato in cui si opera una distinzione tra “redditi da capitale” e “redditi diversi”. Per i primi s’intendono quelle remunerazioni che si ottengono dall’investimento in capitali, come i dividendi azionari e le cedole obbligazionarie. Per i secondi si fa riferimento alle plusvalenze e alle minusvalenze che si ottengono quando si rivende un titolo finanziario a prezzi maggiori/inferiori a quelli di acquisto.

Tassazione rendite finanziarie, governo unito?

Da questa distinzione deriva l’impossibilità per l’investitore-contribuente di compensare utili e perdite relativi allo stesso titolo. Ad esempio, se subisco una minusvalenza dalla rivendita o dalla scadenza di un bond, non posso compensarla con le cedole ai fini impositivi. Per non parlare di astrusità legislative, per cui gli utili realizzati da un investimento in fondi comuni sono trattati come redditi da capitale, mentre le perdite come redditi diversi.

Riuscirà la composita maggioranza di governo a trovare un’intesa su una tassazione delle rendite finanziarie più leggera? A sinistra, si eccepisce che le risorse sarebbero dirottate a favore degli investimenti speculativi e non della creazione di ricchezza reale.

Inoltre, si aiuterebbero così i redditi medio-alti. Ma la verità è più complessa: se i mercati finanziari funzionano male, a risentirne è proprio l’economia reale. E stangare gli investimenti in azioni, bond, fondi ed ETF riduce gli apporti di capitali verso la sfera finanziaria e non rende affatto più equo un sistema economico. Coloro che investono rimangono i soliti noti, mentre la massa delle famiglie si priva dell’opportunità di mettere a frutto i propri risparmi. E questi scontano già alla fonte una doppia imposizione, essendo la differenza tra redditi e consumi. Entrambi sono sottoposti a tassazione.

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