La settimana scorsa, il Consiglio dei ministri votava il decreto Energia da 4,4 miliardi di euro, grazie al quale tra l’altro sono stati resi possibili il taglio delle accise di 25 centesimi al litro per benzina e diesel e nuovi aiuti a 5,2 milioni di famiglie (dalle 4 milioni di prima) contro il caro bollette. Il premier Mario Draghi ha resistito alla richiesta praticamente unanime venuta dai partiti della sua maggioranza di finanziare tali misure in deficit. Almeno per il momento – siamo ancora ai primi mesi dell’anno – non vuole far passare il messaggio che i conti pubblici italiani rischino di finire fuori controllo a causa della crisi energetica.

Per questo Draghi ha puntato su un nuovo balzello, la cosiddetta “tassa sugli extra-profitti” delle imprese attive nel comparto energetico. Quali? Esse sono coloro che:

producono energia elettrica sul territorio italiano;

producono gas metano o estraggono gas naturale;

rivendono energia elettrica, gas metano o gas naturale;

importano energia elettrica, gas metano o gas naturale;

producono, importano, distribuiscono e commerciano prodotti petroliferi.

Tassa sugli extra-profitti retroattiva e incostituzionale

Queste società dovranno pagare una tassa del 10% sul maggiore saldo, al netto l’IVA, realizzato da 1 ottobre 2021 a 31 marzo 2022. Sono esclusi i maggiori saldi fino a 5 milioni di euro e, comunque, in crescita fino al 10%. In pratica, lo stato farà pagare alle imprese sopra indicate una sorta di addizionale temporanea sui maggiori profitti realizzati attraverso le attività legate all’energia. Tuttavia, Equita Sim ha calcolato che l’impatto sui bilanci delle società sarà limitato. ENI ed ENEL sarebbero le più colpite, ma nel peggiore dei casi la prima arriverebbe a versare allo stato 100 milioni in più. Non si capisce secondo quali calcoli Draghi ritenga di poter incassare 4 miliardi.

Non è l’unica perplessità che questa tassa sugli extra-profitti suscita. Anzitutto, avendo come base imponibile i profitti realizzati nel semestre sostanzialmente quasi in scadenza, essa si configura come retroattiva.

Pertanto, sarebbe incostituzionale. E giustamente l’Istituto Bruno Leoni ricorda che l’istituzione di un tributo dalle caratteristiche nuove per decreto cozzerebbe con lo Statuto del contribuente. E questo balzello è innovativo, trattandosi di qualcosa a metà tra un’addizionale IRES e IVA. Infine, possiamo davvero far passare il principio che alcune società maturino profitti “extra”? Rispetto a cosa? Quale sarebbe il limite massimo degli utili, superato il quale potremmo parlare di un eccesso? E perché il principio non dovrebbe valere per ogni tipo di impresa? Di questo passo, però, arriveremmo ai prezzi amministrati, tipico dei sistemi ad economia pianificata.

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