Il caos scatenato a Londra dal nuovo governo conservatore di Liz Truss può offrirci conforto nel sapere che anche i primi della classe a volte sbagliano di brutto. C’è una nuova premier, che dopo 40 anni ha dovuto licenziare il suo ministro dell’Economia e rimangiarsi una manovra fiscale impostata sul taglio delle tasse in deficit. Si è dovuta arrendere al crollo della sterlina, della borsa e al boom dei rendimenti di stato. La Banca d’Inghilterra è dovuta intervenire per spegnere l’incendio.

E il neo-nominato cancelliere allo Scacchiere, Jeremy Hunt, ha annunciato che le tasse aumenteranno, altro che diminuire. Raramente assistiamo a simili eventi in un’economia avanzata. Quanto accaduto nel Regno Unito, però, non è una storia isolata.

Tutto ha origine nel 2008. C’è il crac di Lehman Brothers e rischia di saltare per aria tutto il sistema bancario americano, nonché l’economia americana stessa e, a cascata, l’intero pianeta. Per impedire una crisi mondiale catastrofica, i governi scendono in campo con salvataggi bancari costosissimi e impopolari. Mentre le banche intascano lauti dividendi spesso frutto di speculazione finanziaria e non di presti a sostegno dell’economia, milioni di persone perdono il lavoro e, in qualità di contribuenti sono costretti a pagare i debiti delle prime.

Il mondo va in subbuglio. La politica trema, le banche centrali reagiscono azzerando i tassi d’interesse e iniettando liquidità a pioggia. Per oltre un decennio è stato così. L’onda d’urto della crisi mondiale fu così violenta da convincere i governi a non indisporre più i cittadini. “Equilibrio di bilancio” fu un’espressione che uscì fuori dal lessico politico. Del resto, non puoi salvare le banche con soldi pubblici e dire ai cittadini che non ci sono risorse da destinare al potenziamento dei servizi e al taglio delle tasse.

Dal taglio delle tasse al rialzo dei tassi

E così, grazie ai tassi zero, i desideri di tutti furono accontentati per anni e anni.

I debiti pubblici salivano, ma non costavano nulla, per cui nessuno se ne preoccupava. La classica distinzione tra destra e sinistra aveva sempre meno senso: perché dilaniarsi nello scegliere tra meno tasse e più spesa pubblica, se puoi avere entrambe le cose senza effetti collaterali apparenti? Funzionò così fino al Covid, quando si raggiunse l’apoteosi dell’allentamento fiscale e monetario. Soldi per tutti e a costo zero. Poi, l’imprevisto: rispunta l’inflazione, le banche centrali fingono di non vederla e dopodiché devono combatterla alzando i tassi. Finisce un’era di illusioni. Improvvisamente, i conti tornano a dover essere quadrati. Non è più possibile promettere il taglio delle tasse e aumenti della spesa pubblica senza coperture.

Il primo a scoprirlo sulla sua pelle è Truss. E’ servita come il canarino nella miniera, un esempio illuminante di cosa non fare di questi tempi. Certo, l’America continua ad essere l’eccezione. Spandono, spendono e varano il taglio delle tasse tutto in deficit. Ma lì ancora vale il “privilegio esorbitante” di stampare il dollaro, valuta che tutti nel mondo vogliono possedere perché riserva di valore. Grazie a Londra, però, tutti sappiamo adesso che non è più tempo di fare debiti. C’è la necessità di compiere scelte, cioè la politica deve tornare a fare il suo lavoro. E dopo una lunghissima pausa è evidente che sia svogliata e che abbia persino perso capacità.

Se fino a qualche mese fa sul web sciorinavano le loro ammiccanti soluzioni i teorici della Moderna Teoria Monetaria (MMT), adesso che persino il Giappone vacilla dinnanzi alla realtà, a tutti è imposta sobrietà anche nel favoleggiare. Se ancora all’inizio di quest’anno “Super Mario” Draghi varava un taglio delle tasse in deficit, adesso i principali fautori dell’abbassamento del carico fiscale su famiglie e imprese – il centro-destra – neppure si sogna di imitarlo con il nuovo governo.

L’aria è cambiata, siamo tornati con i piedi per terra al minimo rialzo dei tassi.

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