La “flat tax” si farà e l’Europa dovrà mettersi il cuore in pace, ha dichiarato il vicepremier Matteo Salvini, partendo per gli USA, dove incontrerà il segretario di Stato, Mike Pompeo, con cui discuterà di vari temi, tra cui la lotta all’immigrazione clandestina, tema caldissimo anche nell’America di Donald Trump. Il problema resta sempre tra le pieghe del bilancio statale: dove prendere i soldi? Escludiamo ragionamenti volutamente semplicistici, portati avanti nei talk-show dal leader leghista, secondo cui il taglio delle tasse si ripagherebbe con la gente che lavorerebbe e le imprese che produrrebbero di più, insomma con consumi e lavoro in crescita, nonché con il disincentivo ad evadere il fisco.

Flat tax al 15%, ecco oltre quali redditi le detrazioni da lavoro dipendente si azzererebbero

L’evasione fiscale non sparirebbe di per sé nemmeno quasi azzerando le aliquote, perché la tentazione di trattenere in tasca tutto il guadagno maturato con il proprio lavoro sarà sempre forte. Tuttavia, che vi sia una correlazione inversa tra entrate fiscali e aliquote, cioè anche tra pressione fiscale e tasso di evasione, è assodato. A inizio anni Ottanta, bastò un grafico dell’economista Arthur Laffer per convincere l’allora candidato repubblicano Ronald Reagan a impostare la sua campagna per le presidenziali proprio sul taglio delle tasse. Cosa diceva quel grafico? Più tassi e più incassi, ma fino a un certo punto, superato il quale si verifica l’inverso.

Tasse troppo alte in Italia, serve tagliarle

L’Italia ha superato il punto critico? Beh, più che un’analisi econometrica, dovrebbero bastare i fatti: le imprese nel complesso producono meno del 2007, i consumi delle famiglie sono fermi e l’occupazione risulta tra le più basse di tutto il mondo avanzato, insieme a Grecia e Turchia. E in questi anni non abbiamo fatto altro che tassare, tassare e tassare.

Cosa servirebbe di più per convincere i soloni che occupano le cariche istituzionali a Roma che le politiche tassaiole seguite da inizio anni Novanta non abbiano funzionato, avendo mantenuto praticamente inalterata la quota di evasione fiscale sul pil? Su 100 euro dichiarati, lo stato italiano nel 2017 ne sottraeva ai suoi legittimi produttori 42,4, al sesto posto in Europa, dove a primeggiare vi era la Francia con 46,2, seguita dalla Danimarca con 46 e il Belgio con 44,6.

Il “total tax rate” in Italia, vale a dire il carico fiscale sugli utili delle imprese, si attesta al 64,8%, oltre 24 punti percentuali sopra la media europea. Tagliare le tasse da noi è un must, un’emergenza nazionale e che andrebbe fatto per decreto legge. Invece, ci perdiamo da un ventennio a questa parte in chiacchiere accademiche vuote, ipocrite e figlie di una politica che non vuole interrogarsi su come finanziarne la copertura e che per questo ha condannato la nostra economia a scalare verso il basso tutte le classifiche internazionali possibili. Solo con una pressione fiscale accettabile, lo stato avrebbe l’autorità per scovare e perseguire in maniera più decisa gli evasori, al limite anche mandando nelle patrie galere i responsabili delle “sviste” più eclatanti.

La recessione in Italia c’è già, serve solo il taglio delle tasse

Attualmente, però, l’evasione fiscale è conseguenza perlopiù di una tendenza diffusa all’arrangiarsi tra imprese e lavoratori, specie al sud, dove l’alternativa in molti casi non è dichiarare fedelmente i redditi al fisco, quanto chiudere battenti o rinunciare a lavorare. Se lo stato si mettesse davvero a fare le pulci ai contribuenti, non ricaverebbe qualche euro in più di entrate, ma rimedierebbe problemi seri, come la desertificazione imprenditoriale completa e l’impennata del già elevato tasso di inattività. Con quali soldi manterrebbe un platea ancora più folta di poveri (stavolta, reali) e disoccupati? Secondo voi, perché l’Italia ricorda con disgusto il vampirismo fiscale del governo Monti, se non per il fatto che abbia portato a un aumento della povertà e a nessuna emersione del sommerso, dati alla mano?

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