Ci sono aspettative eccessive sull’operato di Mario Draghi come premier. Come spesso accade quando i “tecnici” arrivano al governo dell’Italia, li si carica di poteri taumaturgici, come se la politica nostrana battesse realmente in ritirata e rinunciasse ai suoi antichi vizi nel nome dell’interesse nazionale. Però, un piccolo miracolo, pur ancora molto insufficiente, “Super Mario” lo ha già compiuto e riguarda uno dei dossier scottanti che si ritroverà tra le mani quando siederà tra pochi giorni ufficialmente a Palazzo Chigi: Banca MPS.

Il titolo tra le MidCap di Piazza Affari guadagna il 34% da fine gennaio, cioè da quando l’ex governatore della BCE è stato chiamato dal presidente Sergio Mattarella a guidare un governo “di alto profilo”. Ieri, il boom: quotazione delle azioni fino a +19%. Cosa sta succedendo? Si è sparsa la voce che il fondo Apollo avrebbe chiesto l’accesso alla “data room” di Siena per valutare una sua possibile acquisizione. Queste indiscrezioni arrivano dopo che anche i fondi Blackstone, Lonestar e Hellman & Friendman avrebbero mostrato lo stesso interesse.

Peraltro, con la nomina di Andrea Orcel come CEO di Unicredit, montano le speculazioni su una possibile aggregazione proprio con MPS e con Banco BPM. Ma è indubbio l’effetto Draghi. Il solo fatto che il prossimo governo italiano verrà guidato da un uomo apprezzatissimo sia dai mercati che dalle cancellerie straniere (l’ex presidente Donald Trump twittò un paio di anni fa che lo avrebbe voluto a presiedere la FED al posto di Jerome Powell) sta rendendo più appetibili gli assets del Bel Paese. La stessa Piazza Affari nel suo complesso sale in questi primi giorni di febbraio di quasi il 9%, portandosi ai massimi da quasi un anno. Stesso discorso per i BTp, i cui rendimenti sono scesi, tirandosi dietro lo spread ai minimi da quasi 6 anni.

Il destino di azionisti e dipendenti MPS nelle mani della politica

I guadagni con la nomina di Draghi

Con il rally di questi giorni, MPS in borsa capitalizzava ieri circa 1,38 miliardi di euro, quasi 400 milioni in più in circa una settimana.

Poiché il Tesoro detiene il 64% dopo l’operazione di cessione dei crediti deteriorati ad AMCO (prima era al 68,3%), la quota pubblica vale adesso oltre 880 milioni, 220 in più dei 660 milioni di fine gennaio. Attenzione, perché il recupero compensa solo in misura marginale le perdite dello stato con la nazionalizzazione. Tra ingresso diretto nel capitale e conversione delle obbligazioni subordinate in azioni, noi contribuenti italiani abbiamo speso nel 2017 ben 6,9 miliardi. Ai valori attuali di mercato, oggi venderemmo la quota per soli 850 milioni, perdendo più di 6 miliardi.

E non vogliamo neppure menzionare gli 8 miliardi di euro di NPL acquistati a prezzi verosimilmente fuori mercato. Poiché AMCO è una controllata del Tesoro, le eventuali minusvalenze ancora una volta verrebbero accusate dai contribuenti. Peraltro, oggi vengono svelati i numeri del bilancio 2020. Si attendono perdite per 1,5 miliardi, mentre per quest’anno la banca stima un -562 milioni. Altro che utile da 1,2 miliardi, come da piano concordato con la Commissione europea. Inoltre, l’incidenza degli NPL passerebbe dal 4,2% del 2020 al 6% di quest’anno e fino al 7,3% del 2023. Come se la maxi-cessione ad AMCO, causa Covid, non fosse mai avvenuta.

Azione collettiva contro MPS sulle irregolarità di bilancio anni 2012-2017

Attenzione all’euforia in borsa

A questo punto, sembra quasi certa l’emissione a breve di un bond subordinato da 500 milioni di euro. E forse, il mercato starebbe premiando il titolo MPS sulla nomina di Draghi a premier anche in previsione di una fissazione della cedola a livelli un po’ più bassi di quelli previsti precedentemente, pur rimanendo altissima. Si parla di un tasso annuale dell’8%. Enorme in tempi di cedole quasi azzerate.

Occhio, però, a farsi prendere dall’entusiasmo. L’interessamento dei fondi appare promettente, segnalando che MPS sia diventata un po’ più appetibile di qualche settimana addietro, ma allo stesso tempo presuppone scenari improbabili. I fondi per natura guardano al breve periodo e per rilanciare la banca senese e maturare utili e plusvalenze dalla rivendita serviranno verosimilmente anni, neppure pochi.

A meno di non credere che Draghi consenta a un fondo di appropriarsi di Rocca Salimbeni e di sottoporla a una cura “lacrime e sangue” drastica, con tagli pesanti al personale e ai costi in generale, l’unica opzione seriamente in campo resta quella di Unicredit. E tra la presidenza andata a Pier Carlo Padoan e un nuovo premier come Draghi, le pressioni su Piazza Gae Aulenti si stanno facendo molto forti in tal senso. Resta il problema di come ri-privatizzare la banca senza ingenti perdite da registrare a bilancio. Il premier non vorrà debuttare con quella che verrebbe percepita come una “svendita” o un regalo ai banchieri. Pur non avendo colpe circa le perdite, non vorrà dare l’immagine di un capo di governo che carica sul già enorme debito pubblico altri miliardi di passività per una banca. Eppure, i numeri hanno la testa dura. Oggi come oggi, l’uscita del Tesoro dal capitale sarebbe un bagno di sangue per i contribuenti.

Le obbligazioni subordinate di MPS hanno realizzato guadagni al 30% in poche settimane

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