A fine anno, stando alle stime di Mazziero Research, che si rivelano molto simili a quelle da noi condotte su Investire Oggi, il debito pubblico italiano salirà in prossimità dei 2.600 miliardi di euro, crescendo di circa 180 miliardi in appena 12 mesi. Le copiose emissioni di BTp per finanziare il sostegno ai redditi e il crollo del gettito fiscale provocato dalla pandemia rendono quanto mai necessaria la massiccia adesione dei risparmiatori italiani alle aste del Tesoro per evitare rendimenti crescenti e fuori controllo.

Da qui, l’opera di martellamento del governo e delle stesse opposizioni per convincere gli italiani a tornare ad investire sul debito sovrano tricolore.

La vera crisi del debito pubblico è che non serve più all’economia

Le cifre ci dicono che già oggi appena il 30% dello stock sia in mani straniere, inclusa la quota in mano alla BCE, al netto della quale scenderemmo in area 25%. Per il resto, il grosso del debito è detenuto da banche, assicurazioni e fondi privati, ma spicca anche il 17,4% in mano alla Banca d’Italia per effetto degli acquisti di BTp condotti con i programmi monetari deliberati da Francoforte.

Dunque, la finanza straniera detiene effettivamente intorno a un quarto del nostro debito, la metà del 2010, quando toccò l’apice storico del 52%. L’internazionalizzazione dei BTp avvenne negli anni Novanta, quando i governi riuscirono ad attirare la fiducia dei mercati con l’aggancio all’euro, la lotta all’inflazione, le privatizzazioni e il risanamento dei conti pubblici, mentre la quotazione dei titoli di stato sul mercato secondario rendeva possibile il trading anche a scopo prettamente speculativo.

Più risparmi italiani e meno capitali stranieri?

Gli investimenti esteri servirono all’Italia per abbattere il costo di emissione del debito, dato che la domanda potenziale si allargava, compensando la crescente diversificazione dei portafogli finanziari domestici, con le famiglie italiane sempre meno attratte dai BTp e sempre più intente a puntare su azioni e bond nazionali e internazionali, seguendo con ritardo un processo che altrove già aveva attecchito da tempo.

Adesso, però, le istituzioni ci raccontano una verità diversa, ovvero che per combattere lo spread e minimizzare il rischio di default dovremmo riappropriarci del nostro debito.

I BTp irredimibili di Savona hanno il sapore di un ricatto ai risparmiatori italiani

In sé, questa affermazione non ha alcun senso. Essa parte del presupposto che la finanza straniera sarebbe meno disposta a tollerare le vicissitudini finanziarie, politiche ed economiche del Bel Paese, liberandosi dei BTp alla prima occasione utile. Per contro, sembrerebbe che le famiglie italiane siano ben contente di finanziare lo stato, qualche che siano le condizioni macro e politiche di contorno. Può essere parzialmente vero per il semplice fatto che nessuno più di un italiano stesso riesca a valutare con giudizio la reale gravità della situazione di volta in volta. All’estero, si ha una visione spesso romanzata dell’Italia nel bene e nel male e si tende a drammatizzarne oltremisura gli eventi.

Detto questo, senza i capitali stranieri saremmo costretti a finanziare in toto le emissioni di debito con i risparmi domestici. Essi risultano abbondanti, ma se venissero impiegati perlopiù a favore dei BTp, verrebbe meno il sostegno all’economia privata, vale a dire al debito e al capitale di rischio delle società private, che sono quelle che rendono il debito pubblico sostenibile con le loro attività e il pagamento delle imposte. A meno che la finanza straniera non riuscisse a compensare i minori afflussi domestici, spostando la sua attenzione dal debito sovrano al settore privato. Non si vedrebbe, però, perché mai ciò che farebbe male allo stato italiano dovrebbe essere visto positivamente per il settore privato. In altre parole, i capitali esteri destabilizzerebbero i titoli di stato, mentre sarebbero un toccasana per le aziende, stando al racconto che ci viene propinato in questi mesi.

Rischi per le famiglie

La verità sembra molto più prosaica. Riappropriarsi del debito pubblico vorrebbe dire per lo stato italiano confidare sul fatto che le famiglie, una volta acquistati BTp, siano meno propense a rivenderlo sui mercati, a differenza degli investitori istituzionali stranieri non direttamente “controllabili”. Se le aste continuassero ad attirare domanda sufficiente, lo spread si restringerebbe e la percezione sull’Italia migliorerebbe, rendendo il nostro debito più sostenibile. Questo discorso contemplerebbe anche il ragionamento sottinteso per cui banche, assicurazioni e fondi domestici siano “dissuasi” dal rivendere i bond.

Questa narrazione, tuttavia, è contraria a quella degli ultimi 20 anni, secondo la quale l’internazionalizzazione del nostro debito lo avrebbero reso meno costoso. Delle due l’una: o ci hanno preso per i fondelli sino ad oggi o vogliono farlo adesso. Il non detto di questa “sovranizzazione” risiede nella possibilità per lo stato di rinegoziare il debito nel caso estremo di sua insostenibilità, mettendo le mani nei portafogli domestici e senza così correre il rischio di indisporre i capitali stranieri, che oltre a godere di una forte posizione negoziale, se la darebbero a gambe per lungo tempo dall’Italia, rendendoci un mercato periferico e marginale, nonché privo delle risorse necessarie per finanziare gli investimenti. Per le famiglie, una possibile trappola a cui prestare la dovuta attenzione in tempi di BTp Italia e BTp Futura.

Perché andare in default anche con un debito pubblico basso è possibile

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