Lo smart working sembra il futuro del lavoro anche se, ad oggi, non è ancora oro tutto ciò che luccica. La definizione data allo smart work è propriamente quella del lavorare in modo flessibile e non essere fisicamente in azienda o sul posto di lavoro, dunque la possibilità di lavorare da remoto grazie a computer, smartphone e connessioni varie.

4-day work week

Molte aziende estere, soprattutto americane, hanno sperimentato e stanno sperimentando lo smart working già da tempo con risultati non di rado soddisfacenti.

Secondo quanto scrive Business Insider, riportando un articolo della CNBC, ora gli orizzonti dello smart working si starebbero allargando alla settimana a 4 giorni ossia 4-day work week. Non più i classici 5 giorni settimanali lavorati ma 4 pagati come se fossero 5. L’idea sembra funzionare, tanto che molti dipendenti di aziende che hanno deciso di avviare questa modalità avrebbero affermato di lavorare meglio a queste condizioni, riuscendo a trasmettere più entusiasmo sperimentando anche più idee, rendendo di più insomma. Lavorare 4 giorni a settimana invece che 5, secondo un report dell’Università di Auckland, permetterebbe ai lavoratori di dedicare più tempo alla famiglia, alle proprie passioni e di conseguenza sentirsi meno stressati a lavoro e trasmettere più passione e voglia di fare sul campo.

La realtà in altri paesi

Se questa sembra essere parte della fotografia dello smart working negli Usa, una studio dell’Università di Oxford ha dimostrato una realtà molto diversa in altri paesi dell’Asia e dell’Africa, dove il telelavoro si avvicina quasi allo sfruttamento. In tal caso si parla di lavori non ben inquadrati che non prevedono assunzioni a tempo determinato o indeterminato. Lo studio in oggetto si riferisce in particolare agli sviluppatori e programmatori che lavorano tramite remoto e trovano lavori tramite le piattaforme dedicate ai Freelance. Se una parte si è detta soddisfatta dell’autonomia con cui è possibile operare, un alto numero di intervistati ha confermato di sentirsi pressati dalle gestioni algoritmiche.

Si tratta di un mercato troppo competitivo e ancora poco tutelato che può non di rado arrivare a sfociare in esaurimento nervoso, stress da superlavoro e stanchezza fisica per arrivare a determinati risultati imposti. “Da quanto emerge appare chiaro che l’autonomia lavorativa all’interno della gig economy spesso è ottenuta al prezzo di orari di lavoro lunghissimi, irregolari e anti-sociali, che possono portare a stress, privazione del sonno ed esaurimento nervoso” ha confermato Alex Wood, co-autore della ricerca dell’Università di Oxford, puntando il dito contro un sistema ancora poco tutelato, mal pagato e basato troppo sul controllo algoritmico.

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