I contagi stanno crescendo a ritmi preoccupanti in Italia e la Lombardia inizia ad esibire un’impennata monstre, tale da indurre il governatore Attilio Fontana ad imporre il “coprifuoco” serale tra le ore 23 e le 5. Il governo nazionale accelera i piani per applicare nuove restrizioni su tutto il territorio italiano, che gradualmente porterebbero a un secondo vero e proprio lockdown. Il caso lombardo, tuttavia, merita di essere seguito con particolare attenzione, perché ci troviamo dinnanzi al motore dell’economia italiana.

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La Lombardia ospita 10 milioni di abitanti, un sesto dell’intera popolazione nazionale. Nel 2017, ultimo anno in cui l’ISTAT ha pubblicato i dati sul PIL suddiviso per regioni, qui si erano prodotti più di 383 miliardi di euro di ricchezza, pari al 22,2% del totale. In altre parole, più di un quinto della nostra economia è made in Lombardia. Di fatti, qui hanno sede 816 mila imprese registrate, il 16% del totale. Esse impiegano, insieme alla Pubblica Amministrazione, ben 4,5 milioni di persone, oltre il 19% del totale nazionale.

Di conseguenza, in questa regione 45 residenti su 100 lavorano, a fronte di un rapporto di neppure 38 su 100 per il resto d’Italia. Molto più alto il PIL pro-capite, cioè di circa 39.000 contro i 29.800 della media nazionale. Escludendo proprio la Lombardia, la media pro-capite scenderebbe a meno di 28.000 euro l’anno, il 39% più basso. In altre parole, il PIL per abitante tra i lombardi è agli stessi livelli della Germania, mentre quello del resto della Nazione scende sotto i livelli spagnoli di circa il 10%. E ancora: qui si origina un quinto del valore aggiunto dei servizi finanziari prodotti in tutta Italia. Del resto, a Milano ha sede Piazza Affari.

A rischio la tenuta sociale

Grazie a questa straordinaria capacità di creare ricchezza, la Lombardia esita annualmente un residuo fiscale di circa 54 miliardi di euro, qualcosa come 5.400 euro per abitante.

Questa sarebbe la differenza tra il gettito fiscale versato e i beni e i servizi ricevuti dalla popolazione locale. Soldi, che finanziano il welfare nelle regioni economicamente più deboli, praticamente quelle del sud. Dunque, quando parliamo di Lombardia ci riferiamo a una struttura produttiva che nei fatti sostenta una parte consistente del resto d’Italia e a cui inevitabilmente vanno le dovute attenzioni.

La recrudescenza della pandemia, che sta colpendo particolarmente sia le province lombarde che quelle campane, rischia di far inceppare proprio quel motore che garantisce la “pax sociale” laddove altrimenti non esisterebbe. Quei 54 miliardi di trasferimenti dalla Lombardia vanno a finire nelle case dei pensionati, non esclusivamente meridionali, così come nei redditi di cittadinanza e nei posti di lavoro pubblici in eccesso rispetto ai bisogni del sud. Quel fiume di denaro, detto in parole povere, consente anche agli abitanti delle regioni più povere di godere di livelli di assistenza e di stili di vita non troppo dissimili da quelli che risiedono nelle regioni più ricche. Dovremmo tutti augurarci che l’economia lombarda non tiri le cuoia, perché essa presidia l’unità della Nazione e il suo clima, date le condizioni, di relativa quiete sociale. Tutto questo potrebbe finire molto presto. E allora sì che la crisi, quella che si taglia con il coltello, devasterà quel che resta di uno stremato sud.

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