Non si arrestano le perdite in borsa di Credit Suisse, le cui azioni quest’anno crollano del 66%. Né poteva essere altrimenti nel bel mezzo della seconda parte dell’aumento di capitale da 4 miliardi di franchi svizzeri. La prima da 1,76 miliardi si è conclusa a favore dei soli investitori istituzionali e ha visto la Saudi National Bank, la banca centrale saudita, entrare con una quota del 9,9%. La seconda da 2,24 miliardi è in corso. Nel frattempo, Qatar Investment Authority, il fondo sovrano del Qatar da 300 miliardi di dollari, ha aumentato la sua partecipazione al 6%.

Nei mesi scorsi, tale quota era scesa al 4,87%. La risalita è dovuta alla conversione integrale di due obbligazioni convertibili e in scadenza entro l’anno.

MbS entra in banca con mezzo miliardo

La notizia più importante di questi giorni riguarda però il principe saudita Mohammed bin Salman, noto spesso alle cronache mondiali con l’acronimo MbS. Secondo fonti a lui vicine, sarebbe disposto a impiegare 500 milioni di dollari per entrare nel capitale di Credit Suisse Firts Boston, la nuova banca d’investimento nata dallo spin-off dell’istituto elvetico. Non è ancora chiaro, però, se l’ingresso avverrà tramite una partecipazione a titolo personale o attraverso uno dei veicoli sovrani come Public Investment Fund (PIF) e Saudi National Bank.

Credit Suisse naviga in cattive acque da mesi dopo essere rimasta vittima della mala gestione di diversi suoi ex dirigenti. L’immagine è rimasta appannata dagli scandali finanziari Greensill e Archegos, i quali hanno provocato anche una voragine nei conti bancari. Il rilancio starebbe avvenendo grazie alla massiccia partecipazione di investitori del mondo arabo. Un aspetto da non sottovalutare. Qual è la ragione per cui Qatar e Arabia Saudita, da tempo nemici nello scacchiere geopolitico, abbiano deciso di puntare i loro quattrini su una banca svizzera malconcia?

Gli sceicchi vogliono la loro banca

Questione d’immagine, sostengono diversi osservatori.

Sfruttare un istituto internazionale per presentare nei salotti buoni della finanza mondiale non più in stato di soggezione. Ammesso che sovrani a capo di fondi anche trilionari siano stati mai messi in soggezione. E se la verità fosse un’altra? Il Golfo Persico è ricco di petrolio e gas, grazie ai quali incassa ogni anno centinaia di miliardi di dollari che spesso non sa dove e come investire. Gli manca una banca “propria”, di riferimento per fare affari nel mondo.

Credit Suisse non è soltanto una delle maggiori banche d’investimento al mondo. Essa è non americana. Sappiamo quanto gelidi siano diventati i rapporti tra Stati Uniti e mondo arabo, specie Arabia Saudita negli ultimi tempi. Che il principe MbS voglia creare per il suo regno un’autonomia finanziaria dagli USA? Se l’Occidente dipende dal petrolio arabo, gli arabi dipendono dalle banche occidentali per potere investire i loro soldi. A parte, ovviamente, i capitali impiegati direttamente attraverso i fondi sovrani.

Credit Suisse reazione araba a sanzioni anti-Russia?

Con il salvataggio in corso di Credit Suisse, gli sceicchi farebbero un passo avanti. Avrebbero di fatto una banca non americana con cui fare affari. E parliamo di un veicolo a disposizione non solo delle petro-monarchie, ma anche dei capitalisti privati del Golfo. Non avrebbero più la necessità di recarsi con il cappello in mano presso una qualche banca americana per impiegare la loro liquidità. E in tempi di tensioni geopolitiche fortissime, questo conta.

Pensiamo alle sanzioni contro la Russia. L’Occidente a guida USA ha “congelato” 300 miliardi di dollari delle riserve valutarie di Mosca, impedendone il rimpatrio. Una simile sorte in futuro potrebbe spettare a qualsiasi altro “nemico” dell’Occidente. Vi ricordate quando scrivemmo che alla lunga queste azioni si sarebbero ritorte contro gli americani? Il dollaro è stato trasformato in un’arma (“weaponized”).

Se così è, la finanza a stelle e strisce non sembra più così sicura per parte del pianeta potenzialmente in conflitto futuro con le autorità americane.

Mettere le mani su una banca svizzera come Credit Suisse può rappresentare un segnale forte del mondo arabo. Un modo per dire a Washington che farebbe bene a ponderare le proprie azioni per il futuro, che gli sceicchi non faranno la fine degli oligarchi. E fa specie notare come sauditi e qatarioti abbiano deposto le armi per aprirsi un varco in uno dei principali istituti mondiali, approfittando del suo stato di affanno. E tutto questo dopo che Riad ha smesso di rispondere al telefono alla Casa Bianca, portando avanti una linea sul prezzo del petrolio del tutto avulsa dagli interessi occidentali. Anzi, sauditi e russi sono sempre più alleati.

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