Fino a poche settimane fa, Russia e Turchia sembravano accomunate dall’essere due economie emergenti in affanno sui mercati finanziari, pur per ragioni diverse. La prima è divenuta oggetto di nuove sanzioni USA sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali americane di due anni fa. Ad Ankara, invece, la sfiducia si è fatta pesante tra gli investitori, timorosi che il presidente Recep Tayyip Erdogan possa estendere i suoi poteri già pregnanti sulla banca centrale dopo le elezioni anticipate del 24 giugno. E’ stato lo stesso capo dello stato ad avere chiarito di attendersi dopo il voto che l’istituto si raccordi con lui sulla politica monetaria, confermando la forte opposizione al rialzo dei tassi, nonostante l’inflazione sia arrivata al 10,8% e il deficit corrente viaggi intorno al 6%.

Rublo e lira turca travolti sui mercati, ma il petrolio colpisce Erdogan e aiuta Putin

La lira ha toccato il minimo storico di 4,5010 contro il dollaro mercoledì e da allora è risalita di poco, attestandosi in questi minuti a 4,43. Quest’anno, il cambio è crollato del 14,5% e cosa persino peggiore, non si vede alcun “floor” per esso, tanto che qualche analista forex azzarda che si possa arrivare a oltre 5 entro l’estate. Ad aggravare la situazione c’è il rincaro del petrolio, essendo la Turchia un’economia importatrice di quasi tutta l’energia di cui ha bisogno. Il greggio a 80 dollari al barile deteriora la bilancia commerciale, già in profondo rosso. Preoccupa, infine, l’eccessiva esposizione dell’economia turca ai debiti in valuta straniera, che rischia di provocare sconquassi finanziari con il tonfo della lira.

Viceversa, il rublo resta in calo del 10% contro il dollaro da fine febbraio, ma da inizio maggio ha recuperato oltre il 3%. A dare una mano alla valuta russa ci sta pensando il petrolio. Mosca produce circa 11 milioni di barili al giorno e chiaramente beneficia del boom delle quotazioni, tanto che al cambio attuale di quasi 62 rubli per dollaro, ciascun barile risulta venduto oggi a circa 4.920 rubli, il 20% in più di 4 anni fa, quando pure un barile arrivò ad essere venduto intorno a 115 dollari.

In buona sostanza, grazie al dimezzamento del cambio dalla metà del 2014 ad oggi, per i russi è come se le quotazioni fossero in valuta locale ben più alte dell’apice post-crisi toccato allora.

Quali gli effetti delle sanzioni USA alla Russia?

Conti pubblici russi in attivo quest’anno

Le conseguenze appaiono positive anche per lo stato, tanto che il Ministero delle Finanze ha comunicato la settimana scorsa di attendersi per quest’anno che il bilancio pubblico chiuda in attivo di 440,6 miliardi di rubli (6 miliardi di euro), pari allo 0,45% del pil, in forte miglioramento rispetto alle stime precedenti, che davano il saldo in deficit per 1.270 miliardi di rubli (17,3 miliardi di euro), pari all’1,3%. In calo l’inflazione, stimata per quest’anno al 2,8% dal 4% precedentemente atteso. Considerando che la Banca di Russia tiene i tassi attualmente al 7,25%, se le tensioni sul rublo si calmassero, vi sarebbe spazio per ulteriori tagli, l’ultimo dei quali dello 0,25% è stato varato a fine marzo.

Grazie al contenimento dell’inflazione, che era schizzata al 17% all’inizio del 2015, il potere di acquisto dei salari si è riportato ai livelli di inizio 2014, anno in cui esplosero le tensioni prima relative all’occupazione della Crimea da parte del Cremlino e successivamente per via del crollo delle quotazioni petrolifere. Una buona notizia per i russi, che nonostante la nuova ondata di sanzioni americane, hanno superato la crisi e si accingono a raccogliere nuovamente i frutti del boom del greggio.

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