E se finisse all’opposto di come l’abbiamo finora immaginato, cioè con una vittoria militare e una sconfitta finanziaria contro la Russia di Vladimir Putin? A un mese e mezzo dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, le truppe russe avrebbero abbandonato l’idea di espugnare Kiev per concentrarsi sul sud-est russofono. La resistenza ucraina si è rivelata più lunga ed efficace del previsto, grazie anche al sostegno dell’Occidente. Per contro, abbiamo un rublo rafforzatosi ai massimi dell’anno dopo essere precipitato alla fine di febbraio.

Con l’inizio della guerra, Nord America ed Europa ebbero un solo modo per reagire senza entrare in conflitto diretto sul territorio ucraino: attaccare la Russia sul piano finanziario. Quello è il nostro punto di forza. Le sanzioni comminate a fine febbraio sono state durissime: non solo l’estromissione di sette banche russe dal sistema dei pagamenti SWIFT, ma anche “congelamento” delle riserve valutarie russe in Occidente, qualcosa come 300 su 643 miliardi di dollari.

Con quest’ultima mossa, in particolare, l’obiettivo dei capi di stato e di governo consistette nell’impedire a Mosca di difendere il rublo. Non disponendo di valuta straniera a sufficienza per farlo, avrebbe dovuto abbandonare il cambio al suo destino. Il crollo del rublo avrebbe fatto esplodere l’inflazione e portato verosimilmente in breve tempo a un diffuso dissenso interno. E’ accaduto l’opposto: rublo ai massimi da mesi contro il dollaro, popolarità di Putin stimata all’83%.

Ripresa del rublo grazie a gas e oro

Due sono stati gli annunci ad avere rimesso la valuta emergente in carreggiata. A marzo, Putin chiarì che avrebbe accettato solo pagamenti del gas in rubli. Pochi giorno dopo, il governatore Elvira Nabiullina annunciava che avrebbe ripreso a comprare oro a un prezzo fisso di 5.000 rubli per grammo. La scorsa settimana, ha reso noto che tale prezzo per gli acquisti dopo l’1 luglio sarà rivisto sulla base delle condizioni di mercato.

Cos’è successo nel concreto? L’Occidente continua a comprare gas e petrolio dalla Russia, i cui prezzi in euro e dollari tra l’altro sono esplosi. E così Mosca incassa la media di almeno 800 milioni di dollari al giorno. Denaro che le consente sia di non soccombere finanziariamente, sia di continuare la guerra. A questo punto, l’Europa sta cercando di accelerare il più possibile l’allentamento della dipendenza energetica dalla Russia, ma nel breve termine risulta impossibile. Questa strategia sta portando inevitabilmente le economie del continente in recessione.

Il PIL russo quest’anno crollerà dell’11%, stando ai dati della Banca Mondiale. Tantissimo, ma non è il tracollo totale che l’Occidente sperava. L’errore di valutazione principale è stato sostanzialmente uno: non avere compreso che la Russia sia il primo produttore di petrolio al mondo e tra i maggiori anche di numerose altre materie prime, tra cui gas, grano, orzo, alluminio, nickel, ecc. Se sanzioni chi ti vende i beni fondamentali per produrre e mangiare, stai dandoti una martellata agli attributi alla Tafazzi.

Verso un terzo Bretton Woods?

Cosa ancora più pericolosa per i futuri equilibri finanziari globali, la Russia ha sostanzialmente legato il rublo all’oro. L’analista di Credit Suisse, Zoltan Pozsar, ha definito questo annuncio l’inizio di un Bretton Woods III. Tale mossa avviene in una fase storica in cui la credibilità delle grandi valute mondiali come il dollaro, l’euro e lo yen non sia certo elevatissima. Alti tassi d’inflazione e decenni di stamperie delle banche centrali stanno seminando dubbi tra i mercati emergenti circa la prospettiva di legarvisi nel lungo periodo.

La Russia ha aperto il vado di Pandora e ha forse anche indicato la via da seguire alla Cina, desiderosa da tempo di sganciarsi dal dollaro.

Queste due economie hanno la possibilità di rendere le rispettive valute “commoditised”, cioè agganciate alle materie prime di cui abbondano. Del resto, a fronte dell’elevata instabilità valutaria negli ultimi decenni, i prezzi delle materie prime si sono mostrati nel tempo molto più stabili. Ad esempio, un barile di petrolio pagato in oro oggi costa il 30% in meno di mezzo secolo fa.

Guerra finanziaria, Occidente rischia grosso

Dicevamo, la Banca di Russia ha annunciato di acquistare 1 grammo di oro per 5.000 rubli. Al cambio di ieri di 79 rubli per 1 dollaro, significa che versa alle banche domestiche circa 63,30 dollari per grammo, qualcosa in più di quanto costi il metallo sui mercati internazionali. Finché questi ultimi restassero inferiori al prezzo offerto dall’istituto, tenuto conto del tasso di cambio tra rublo e dollaro, le banche russe potrebbero sempre acquistare oro all’estero per rivenderlo alla loro banca centrale realizzando un guadagno grazie all’arbitraggio.

Pare di capire che la Banca di Russia non intende rafforzare il rublo sopra i tassi di cambio attuali, probabilmente per sostenere le entrate statali. In effetti, ai prezzi attuali un barile di petrolio può essere teoricamente venduto dalla Russia all’estero in cambio di 8.000 rubli, oltre 3.000 in più di un anno fa. Ciò contiene il deficit pubblico e consente così allo stato di non inondare il mercato di OFZ. L’Occidente guarda smarrito a quanto stia accadendo, tanto da comminare e minacciare sempre nuove sanzioni nella speranza di avere trovato il canale giusto per fermare i carri armati russi. Nel lungo periodo, l’America sta rischiando seriamente di smantellare il sistema finanziario globale dollaro-centrico sul quale si regge gran parte del proprio benessere “artificiale”, mentre l’Europa sta già subendo i contraccolpi di questa guerra finanziaria che rischia di perdere tra alta inflazione e recessione economica.

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