I prezzi dello zucchero sono in forte calo del 30% su base annua, segnando un crollo del 53,5% dall’1 gennaio del 2011, quando si attestavano a 811,60 dollari per tonnellata. Adesso, sono scesi a 377 dollari, ma le quotazioni sarebbero destinate persino ad abbassarsi ulteriormente, in conseguenza di un raccolto atteso elevato nel mondo. Solo l’uragano Irma aveva riacceso le speranze dei traders, che si sono rivelate vane, però. La domanda globale di zucchero quest’anno segna una crescita quasi stagnante, colpita dal crescente salutismo tra i consumatori, consapevoli dei rischi legati all’assunzione eccessiva, se è vero che colossi alimentari come la Coca Cola stanno cercando alternative per ridurre le quantità di zucchero presenti nelle sue bevande e sostituirle con altri dolcificanti meno negativi per la salute.

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Ma in Europa, oltre alla congiuntura internazionale negativa, i coltivatori della barbabietola da zucchero rischiano un duro colpo dalla liberalizzazione decisa dalla Commissione UE a partire dal mese prossimo, quando il prezzo minimo garantito loro alla vendita sarà tagliato del 36%, si potrà coltivare tutto lo zucchero che si vuole e le raffinerie potranno vendere il prodotto a chi desiderano. Il passaggio segna la fine parziale della politica a tutela del settore, adottata a partire dal 1968 e che si pone l’obiettivo di tenere alta la produzione interna con prezzi superiori a quelli che vi sarebbero in un regime di libero mercato, unitamente a elevati dazi sulle importazioni di zucchero di canna, che nel resto del mondo rappresenta l’80% dello zucchero complessivamente consumato.

Zucchero come quote latte?

Il settore teme adesso un contraccolpo simile a quello subito nella primavera di due anni fa dai produttori di latte, dopo l’addio alle quote, che ha provocato un crollo verticale dei prezzi e la chiusura di migliaia di stalle, costringendo Bruxelles a intervenire con lo stanziamento di un miliardo di euro in favore delle piccole attività, onde evitarne la scomparsa totale.

Lo zucchero, però, non è il latte, perché generalmente i coltivatori di questa materia prima sono soliti occuparsi anche di altri cereali, come le patate, contrariamente ai caseifici, che dipendono quasi esclusivamente da un unico prodotto e dai suoi derivati. In altri termini, anche se subissero un calo forte dei prezzi, i coltivatori di barbabietole da zucchero sarebbero in grado di compensare i danni puntando sui maggiori ricavi da altre coltivazioni. (Leggi anche: Quote latte addio, ecco cosa significa per produttori e consumatori italiani)

I primi segnali sul mercato parrebbero dare ragione a questa tesi. Secondo i dati della Commissione europea, una tonnellata di zucchero a maggio veniva venduta a 497 dollari a tonnellata e attualmente i contratti forward risultano sui 450 euro, che al cambio attuale farebbero circa 500 dollari, sostanzialmente in linea con i livelli della primavera scorsa. Pertanto, nessun crollo delle quotazioni sarebbe in atto, in previsione dell’imminente liberalizzazione. L’Europa non è l’unica area del mondo a registrare timidi passi nel senso di un’apertura al mercato mondiale. Per fronteggiare un calo degli stock, l’India ha tagliato al 25% i dazi sulle importazioni di 300.000 tonnellate di zucchero, tenendo al 50% quello sulle esportazioni.

UE esporterà zucchero?

Anzi, il passaggio a un sistema più prossimo al libero mercato offrirebbe grosse opportunità al settore, se è vero che la stesa Bruxelles stimi per la stagione in corso importazioni nette per la UE per 1,5 milioni di tonnellate, mentre per la stagione 2017-’18 si prevedono esportazioni nette per 1,3 milioni di tonnellate, anche grazie al boom dei raccolti, attesi in crescita del 19,6% a 20,1 milioni di tonnellate.

La transizione verso la parziale liberalizzazione dello zucchero in Europa risulta, tuttavia, incompleta e imperfetta, come testimonia la permanenza degli elevati dazi sullo zucchero da canna, pari a 339 euro per tonnellata su quello raffinato e a 419 per quello bianco, con eccezioni in favore di esportatori come il Brasile, che può vendercelo per 412.000 tonnellate a un dazio di appena 98 euro a tonnellata.

Non basta, però, per i produttori portoghesi e britannici, in particolare, i quali sostengono di essere penalizzati dalla detenzione di coltivazioni nelle ex colonie, dove i dazi le renderebbero fuori mercato. La Commissione replica che avrebbero la possibilità di importare zucchero da canna senza dazi dalle economie in via di sviluppo.

Come sempre, saranno i fatti a dimostrare se i provvedimenti adottati faranno bene o meno al settore. Per trasformare l’Europa in un’economia esportatrice di zucchero, pare che serviranno azioni più radicali. Credit Suisse stima in 300 dollari a tonnellata il prezzo a cui dovremmo vendere il prodotto fuori dal nostro continente per essere competitivi. Al momento, ci attestiamo su valori più alti di ben i due terzi. (Leggi anche: Zucchero aumenta rischio tumore al seno)