Nuovo passo per l’economia americana verso il ritorno alla normalità e l’uscita dalla più grave recessione dai tempi della Grande Depressione. A maggio, stando al Dipartimento del Lavoro, sono stati creati 4,8 milioni di posti di lavoro, che si sommano ai +2,7 milioni di maggio, rivisti in rialzo dai 2,5 milioni della prima lettura, quando il dato stupì gli analisti, che si aspettavano un ulteriore calo di 8,5 milioni. In aprile, il crollo era stato di 20,8 milioni di unità. Il tasso di disoccupazione è sceso così all’11,1% dal 13,3% di maggio e l’apice del 14,7% toccato in aprile.

Prima del Covid, giaceva al 3,5%. E il tasso di occupazione resta di 6,5 punti più bassa, al 54,6%. Tuttavia, questi numeri danno forza alla previsione di una ripresa a “V” dell’economia americana, cioè un rimbalzo veloce del pil dopo i dati estremamente negativi di questi ultimi mesi.

Ecco perché Trump non parla più di indebolire il dollaro

Dopo l’uscita di questi dati, il dollaro mediamente scambiava in calo dello 0,10% contro le altre valute, mentre l’oro scendeva a un minimo di 1.761-2 dollari, risalendo in area 1.770 dollari nei minuti successivi. Bene Wall Street, con l’indice S&P che dopo pochi minuti dall’apertura di seduta segnava un rialzo di circa un punto e mezzo percentuale, avvicinandosi ulteriormente ai massimi storici di febbraio.

L’impatto sul dollaro

Non è facile capire, ad ogni modo, quale impatto avrebbe una ripresa a “V” sul dollaro. Da un lato, un’uscita rapida dalla crisi renderebbe necessaria una politica monetaria meno ultra-espansiva della Federal Reserve, specie se l’inflazione dovesse risalire insieme al pil. E questo sosterrebbe il cambio americano. Per contro, il dollaro è stato oggetto di ingenti acquisti negli ultimi mesi per la sua natura di “safe assets”, con i rendimenti americani crollati lungo tutta la curva. Basti pensare che il rendimento a 30 anni ormai offre quasi mezzo punto percentuale in meno del decennale a inizio anno.

Con la normalizzazione dell’economia globale, dovremmo assistere a una ripresa stabile degli investimenti negli assets più a rischio (azioni) e in economie diverse dai cosiddetti “porti sicuri”, con il dollaro ad indebolirsi contro le altre valute, anche perché la Fed segnala di volersi mantenere molto accomodante ancora a lungo. A meno che la ripresa americana non preceda quella nel resto delle economie avanzate, spingendo i mercati ancora di più a puntare sugli assets a stelle e strisce, sebbene difficilmente uno scenario simile possa attecchire con nitidezza fino a quando parte del mondo continuasse ad essere esposta al rischio di restrizioni. Non dimentichiamo, poi, che i contagi negli USA stanno aumentando a ritmi quotidiani record, pur a fronte di un crollo dei tassi di mortalità. Presto per tirare le somme, anche se la graduale normalizzazione dovrebbe stabilizzare probabilmente il dollaro nel breve su livelli non lontani da quelli attuali, che risultano già ben più bassi dei massimi toccati nella fase più acuta della pandemia.

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