La chiusura degli stadi è alle spalle, sebbene i numeri estivi della pandemia non tranquillizzino sull’avvio dei campionati di calcio in Europa. Nuove restrizioni non possono essere escluse. Sarebbe un grave danno per le società sportive, le quali hanno accusato forti perdite a causa del Covid e non stanno vedendo risalire i ricavi così velocemente come auspicato. In questi giorni, la UEFA ha avviato i lavori per giungere a una riforma del sistema finanziario del calcio europeo. La logica ad essa sottesa consiste nel porre limitazioni più stringenti alle spese, fissando un tetto agli stipendi dei giocatori.

La riforma sarà introdotta gradualmente dalla stagione 2023/2024 ed entrerà a regime con la stagione 2025/2026.

Riforma UEFA, tetto agli stipendi

La riforma UEFA assegnerà grossa importanza all’indice di solvibilità. In altri termini, già a partire dal monitoraggio di dicembre 2023 le società dovranno esibire un rapporto non eccessivo tra spesa e ricavi. Il tetto agli stipendi sarà fissato inizialmente al 90% del fatturato, scendendo all’80% nella stagione successiva e al 70% nel 2025/2026. Le società che non rispetteranno tali limiti, dovranno pagare una sanzione proporzionata allo sforamento. Tuttavia, per evitare che i club più ricchi semplicemente se ne freghino delle regole e finiscano semplicemente per pagare le multe, saranno previste sanzioni di tipo non pecuniario per i club recidivi. Esse riguarderanno il calciomercato, bloccando le compravendite.

Per la Serie A il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, punta su regole ancora più stringenti. Il manager nota come il calcio italiano abbia i minori ricavi tra i principali campionati europei, a fronte dei quali è oberato da una delle più alte spese per gli stipendi. Abbiamo un calcio malato, senza giraci troppo attorno. E senza che stia esitando i risultati sperati, se è vero che, pur dopo la vittoria a sorpresa degli Europei nel 2021, per la seconda volta consecutiva gli Azzurri non si siano qualificati ai Mondiali di Calcio, i quali quest’anno si svolgono in Qatar.

I numeri drammatici della Serie A

I numeri della Serie A sono da libri in tribunale: nella stagione 2020/2021 si ebbero ricapitalizzazioni per 1,3 miliardi di euro e il deficit complessivo si attestò a 1 miliardo e 25 milioni. I debiti esplosero nel frattempo a 3,4 miliardi. I ricavi al 30 giugno 2021 furono di 2,9 miliardi. La Premier League fatturava nello stesso periodo 6,4 miliardi. La pandemia ha inflitto in questi due anni perdite per 1,3 miliardi alla Serie A, le più alte in Europa e quasi doppie a quelle della Ligue 1. Gli stipendi dei giocatori nello stesso frangente sono aumentati di 390 milioni rispetto alla stagione 2018/2019, pur flettendo del 5% nella stagione 2020/2021 rispetto alla precedente.

Il tetto agli stipendi dei giocatori avrà un senso solo se la UEFA sarà in grado di farlo rispettare a tutto il calcio europeo senza escamotage di vario tipo. Purtroppo, i segnali che stanno arrivando anche negli ultimi mesi non vanno in questa direzione. Il PSG dello sceicco Al-Khelaifi continua a drogare il mercato degli ingaggi con offerte smisurate, potendo contare sulle disponibilità finanziarie praticamente illimitate del fondo sovrano qatariota che lo controlla. Tutto questo in barba alle stesse regole UEFA, il cui presidente Aleksander Ceferin si mostra puntiglioso solo quando deve spulciare i bilanci di squadre come quelle di Serie A o Liga.

Ben venga la riforma UEFA, ma siamo sicuri che le regole sopra succintamente elencate saranno efficaci? Legare il tetto agli stipendi al fatturato senza alcun riferimento a valori assoluti uguali per tutti, significa in partenza perpetuare le grosse differenze esistenti tra club ricchi e club meno ricchi. Se una società fattura 1 miliardo di euro e un’altra 500 milioni, potranno spendere in stipendi rispettivamente fino a 700 e 350 milioni. La prima potrà permettersi i migliori talenti, la seconda no.

Rispetto ad oggi, non è detto che cambierebbe granché.

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