Oltre 20 miliardi di euro spesi in tre anni e mezzo a copertura di 4,7 milioni di beneficiari e 1,2 milioni di nuclei familiari per un importo medio mensile sui 550 euro. Il reddito di cittadinanza va verso un primo tagliando dopo la sua introduzione nella primavera del 2019. Il sussidio è percepito per i due terzi al Sud. Le sole province di Napoli e Caserta incidono per il 20% delle erogazioni totali. In regioni come Sicilia e Campania a beneficiarne risultano essere fino a 1 abitante su 6, mentre in Trentino-Alto-Adige si scende sotto 1 su 100.

Il reddito di cittadinanza è una questione meridionale. Il governo Meloni intende riformarlo in maniera strutturale, persino abolirlo. Ma negli ultimi giorni traspare una maggiore prudenza verbale dalle dichiarazioni di ministri e sottosegretari. Il leghista Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, sostiene che non ci sarà una vera abrogazione, bensì che il sussidio sarà eliminato semmai per coloro che possono lavorare.

Come funzionerà il reddito di cittadinanza dal 2023

Il leitmotiv resta lo stesso da settimane: reddito di cittadinanza solo per anziani, inabili al lavoro e persone con minori a carico. Tutti gli altri dovranno rinunciarci. Quindi, da gennaio non ci sarà più alcun accredito sulla carta gialla degli attuali beneficiari? Non sembra che le cose andranno così. La platea oggetto della stretta è quella composta dalle persone di età compresa tra 18 e 59 anni. Per loro, il sussidio sarà erogato per 18 mesi continuativi. Dopodiché, ci sarà una sospensione di 6 mesi, durante i quali i beneficiari dovranno frequentare corsi di formazione professionale.

Superato il semestre, il reddito di cittadinanza tornerà ad essere accreditato per ulteriori 12 mesi, ma con un décalage. In parole povere, l’importo si ridurrà di mese in mese o diversa tempistica. Trascorso anche questo anno, il sussidio non spetterà più (a vita?). In tutto, quindi, esso riguarderà una persona fino a 36 mesi, di cui 30 di effettiva erogazione.

Resta da vedere se successivamente possano farne richiesta altri componenti dello stesso nucleo familiare o se farà fede il criterio della residenza e fino a quale periodo dalla domanda.

Infine, il sussidio dovrebbe essere ritirato già dopo la prima rinuncia ingiustificata a un’offerta di lavoro “congrua”. Ad oggi è ritenuta tale un impiego a distanza non superiore a 80 km dalla residenza del beneficiario e in linea con le esperienze da questi maturate. Inoltre, la retribuzione non dovrà risultare inferiore all’importo del sussidio maggiorato del 10%.

Non abolizione, ma sforbiciata

Fatta la legge, trovato l’inganno. Ha sempre funzionato così in Italia, forse anche nel resto del mondo. Certo, la stretta sul reddito di cittadinanza ci sarà sul serio. Del resto, in ballo ci sono la media di 8-10 miliardi all’anno ed è corretto che tali risorse non finiscano per alimentare l’assistenzialismo o peggio il lavoro nero o il disincentivo all’occupazione. Ma stando ai numeri dell’INPS, il 65% delle persone che beneficiano del sussidio non risulta occupabile. E il 70% possiede come titolo di studio massimo la terza media.

L’ipotesi più probabile è che si vada verso una decisa sforbiciata per un paio di miliardi di euro. L’aspetto forse più importante consiste non tanto nell’immediata abolizione del sussidio, che non ci sarà, quanto nella prospettiva ormai quasi certa che il reddito di cittadinanza non potrà più essere incassato a vita. Ciò stimolerà gli attuali percettori a trovarsi un lavoro senza confidare neppure troppo nel sostegno degli uffici pubblici. Anche perché i navigator non ci sono più e i Centri per l’impiego non hanno mai funzionato e mai serviranno a nulla.

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