Sospeso sin dall’inizio del 2020 certamente fino a tutto il 2023, il Patto di stabilità sta per tornare. E lo European Fiscal Board (EFB), il comitato di esperti dell’Unione Europea, ha presentato le sue proposte di riforma per renderlo più realistico e al passo con i tempi. Parliamo del complesso di regole fiscali, per cui uno stato membro non può superare il rapporto del 60% tra debito pubblico e PIL e il deficit annuale del 3%. Stando all’EFB, entrambe le regole auree resteranno, ma subiranno un restyling.

I contenuti della possibile riforma

Gli stati membri della UE non dovranno più tendere a un debito pubblico del 60%, sebbene questo rimarrebbe un riferimento essenziale. Gli stati con un indebitamento superiore al 90% del PIL avranno quattro anni di tempo per mettere in atto riforme finalizzate alla riduzione del debito. Con la Commissione europea potranno anche concordare una proroga massima di tre anni. Fino al raggiungimento del 90%, gli stati saranno considerati “ad alto rischio” sul piano fiscale. Sotto il 90% e fino al 60%, saranno “a rischio medio”. Sotto il 60%, infine, saranno definiti “a rischio basso”.

I piani di risanamento dei conti pubblici sarebbero concordati su base bilaterale tra governo e Commissione europea. Tuttavia, gli stati “falchi” del Nord Europa pretendono anche una più stretta sorveglianza a carico degli stati iper-indebitati. In sostanza, Italia e Grecia finirebbero nel mirino di Bruxelles. Non che non lo siano già oggi, ad essere sinceri. La riforma del Patto di stabilità sarebbe avviata probabilmente con il governo Meloni in carica.

Per l’Italia ci sono rischi e opportunità. I primi derivano proprio dal suddetto monitoraggio pressante a cui i nostri conti pubblici sarebbero sottoposti per via dell’alto debito. C’è da dire che già con il PNRR la direzione impressa è stata questa: soldi europei, in gran parte da restituire, contro l’approvazione di centinaia di micro-riforme.

Opportunità dal nuovo Patto di stabilità

Esistono anche opportunità. L’Italia può fare asse con la Francia per immaginare un Patto di stabilità più flessibile, che magari scomputi dal calcolo del deficit pubblico gli investimenti finalizzati al sostegno della crescita. Anche questo spiegherebbe l’incontro immediato tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron a Roma nello stesso giorno del giuramento del nuovo governo.

Attenzione, però, a illuderci che bastino le regole formali per mettere in sicurezza il debito pubblico italiano. L’approvazione che conta dovrà arrivare dai mercati. E del resto, se i funzionari di Bruxelles non sono ancora così occhialuti con Francia e Spagna, malgrado gli alti livelli di indebitamento, è perché questi paesi sinora godono della fiducia piena degli investitori. L’Italia non può ugualmente pensare di sfruttare l’eventuale flessibilità fiscale concessa dal nuovo Patto di stabilità per fare ancora più debiti. Semmai ne potrà approfittare per investire sulla crescita con misure percepite credibili.

Domani, Giorgia Meloni debutta a Bruxelles incontrando il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, del Consiglio europeo, Charles Michel, e dell’Europarlamento, Roberta Metsola. Coltivare buone relazioni anche personali sarà un buon viatico per aumentare il potere negoziale in seno alle istituzioni comunitarie. Dalla sua ha la leadership dei conservatori di ECR, una formazione che può rivelarsi determinante sul piano delle alleanze partitiche e a cui il PPE guarda con crescente attenzione, ora che nessun suo esponente guida uno dei principali stati UE.

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