Se c’è un punto in tema di tasse su cui concordano tutti i partiti della maggioranza, ma anche dell’opposizione, è la necessità di procedere a una riforma dell’IRPEF. In particolare, serve sgravare o rimodulare l’aliquota del terzo scaglione, quella del 38% e che grava sui redditi lordi che vanno da 28.000 a 55.000 euro all’anno. Da Lega e Forza Italia a Movimento 5 Stelle, PD e Leu, tutti al governo ritengono che il “salto” di 11 punti dalla precedente aliquota del 27% (sui redditi tra 15.000 e 28.000 euro) siano troppi.

Ma i punti di convergenza si fermano qui. Lega, Forza Italia e M5S vorrebbero abbassare l’aliquota, mentre PD e Leu puntano al modello tedesco. Questo consiste nell’applicare un’aliquota continua lungo il reddito attraverso l’uso di un algoritmo. In questo modo, l’imposizione fiscale cresce costantemente rispetto al reddito, evitando salti.

PD e Leu confermano anche la volontà di chiedere l’aumento dell’imposta di successione al 20% sui redditi sopra i 5 milioni di euro. Al contrario, Forza Italia vorrebbe cancellarla o almeno elevare la soglia di esenzione. Leu vorrebbe anche introdurre un’imposta patrimoniale dell’1% sopra un certo reddito, cancellando in cambio imposte come l’IMU. E Forza Italia e Italia Viva chiedono anche di cancellare l’IRAP, mentre Forza Italia e Lega vogliono alzare la “no tax area” rispettivamente a 12.000 e 10.000 euro.

E’ quanto emerge dalle proposte di legge presentate dai vari gruppi parlamentari alle rispettive Commissioni di Camera e Senato. Cosa dire? Non esiste uno straccio di proposta organica. Siamo al libro dei sogni. Compito del premier Mario Draghi sarà di tirare le somme e cercare di non irritare una parte o l’altra della sua maggioranza con una riforma dell’IRPEF e del sistema fiscale nel suo complesso che abbia un minimo senso.

Il nodo della riforma IRPEF

Governo Draghi al lavoro per giungere in tempi brevi (entro l’estate?) alla riforma dell’IRPEF, che sarebbe più esattamente una revisione dell’intero impianto fiscale italiano.

Pochi giorni fa, la Corte dei Conti ha lamentato uno sbilanciamento della pressione fiscale a carico di lavoratori dipendenti e pensionati, invocando uno spostamento sui consumi. In pratica, i giudici contabili ritengono che dovremmo pagare un po’ meno IRPEF e un po’ più di IVA. E’ quanto pensa da anni, se non decenni, l’Unione Europea. Frequenti gli inviti rivolti da Bruxelles all’Italia, affinché sposti la tassazione dai redditi ai consumi.

Prima di addentrarci nel caso specifico, dobbiamo fare una premessa. Per il funzionamento dell’economia, ogni tassa è negativa. Tuttavia, alcune lo sono più di altre. Le imposte sui redditi distorcono il processo di formazione della ricchezza e sono giudicate molto inefficienti. Quelle sui consumi producono minori danni. Pertanto, un sistema impositivo che punti all’efficienza dovrebbe cercare di dosare bene le fonti del gettito. La riforma dell’IRPEF servirebbe, in teoria, ad abbassare complessivamente la tassazione a carico dei redditi delle persone fisiche. Per contro, sarebbe finanziata da un pari aumento della tassazione sui consumi (IVA) e forse anche sui beni (IMU/Tasi).

Riforma IRPEF, i dati OCSE

Cosa dicono le statistiche? L’Italia stanga i consumi per il 12% del PIL. Non si tratta solo di IVA, ma anche di altre imposte come le accise e le tariffe doganali sulle importazioni. La media OCSE è dell’11%. In Germania, si scende al 10,4%. In Francia, si sale al 12,3%. Dunque, non è affatto vero che paghiamo poche tasse sui consumi. Tutt’altro. E il gettito IRPEF? Equivale al 10,9% del PIL contro una media OCSE dell’8,1%. In Germania, si scende al 10,6%. In Francia, al 9,6%. Anche in questo caso, paghiamo più della media delle economie ricche.

E togliamoci ogni dubbio anche con l’IMU.

Il gettito derivante dalla tassazione dei beni immobili vale il 2,4% del PIL in Italia, superiore all’1,9% della media OCSE. In Germania, crolla all’1,1%. In Francia, sale al 4%, record mondiale. Anche in questo caso, paghiamo sopra la media internazionale.

Riepilogando, i contribuenti italiani pagano molte tasse, si tratti di redditi personali, consumi o terreni e fabbricati. Qualsiasi riforma dell’IRPEF deve partire da questa premessa, non dalle fandonie per cui servirebbe semplicemente spostare il carico fiscale dai redditi ai consumi. Nel complesso, va abbassata la pressione fiscale.

Aliquote IRPEF e IVA, i cambiamenti in vista

Detto questo, quali e quante sono oggi le aliquote IRPEF? Esse sono cinque, vediamole:

  1. 23% fino ai 15.000 euro;
  2. 27% da 15.001 a 28.000 euro;
  3. 38% da 28.001 a 55.000 euro;
  4. 41% da 55.001 a 75.000 euro;
  5. 43% sopra 75.000 euro.

Con la riforma dell’IRPEF sulla quale è al lavoro il governo Draghi, le aliquote scenderebbero a tre e sarebbe le seguenti:

  1. 23% fino a 25.000 euro;
  2. 33% tra 25.001 e 65.000 euro;
  3. 43% sopra 65.000 euro.

E l’IVA? Oggi le aliquote sono tre, cioè:

  1. 22% sulla generalità di beni e servizi;
  2. 10% sui prodotti di prima necessità (generi alimentari);
  3. 4% su alcuni prodotti sussidiati, come beni agricoli e testi scolastici.

Stando alle indiscrezioni, le aliquote IVA rimarrebbero tre, ma sarebbero le seguenti:

  1. 20-21% sulla generalità di beni e servizi;
  2. 10% sui prodotti di prima necessità;
  3. 7,5% su alcuni prodotti sussidiati.

I contribuenti che pagheranno la riforma

Questo nuovo impianto fiscale si tradurrebbe in un alleggerimento del carico sui redditi, ma senza che effettivamente il gettito IVA aumenti. Come sarebbe finanziata, dunque, la riforma dell’IRPEF? Una sforbiciata alla giungla delle detrazioni resta il canale principale. In effetti, dubitiamo che il premier Mario Draghi voglia vararla a debito. Non glielo consentirebbero l’Europa, lo stato dei conti pubblici e ancor prima la teoria economica: le tasse non si tagliano mai in deficit, altrimenti la riforma rischia di rivelarsi inefficace. I contribuenti, scontando maggiore debito futuro, non aumenterebbero i consumi, gli investimenti e la produzione.

Risparmierebbero gran parte del maggiore reddito disponibile e l’economia non ne beneficerebbe.

Ed ecco che viene il sospetto che a finanziare la riforma dell’IRPEF alla fine siano alcune precise categorie di contribuenti: le partite IVA e i proprietari di immobili. Le prime si vedrebbero sottratte alla tassazione forfetaria, che oggi si applica sui ricavi fino a 65.000 euro all’anno. E i secondi subirebbero non già un aumento diretto delle aliquote IMU/Tari, bensì gli effetti della riforma del catasto. Se ne discute da anni, ma chissà che Draghi non imprima un’accelerazione il tal senso. I valori catastali sarebbero aggiornati e mediamente si rivaluterebbero di 2,5 volte. Le aliquote probabilmente sarebbero ridotte, ma in misura meno che proporzionale. Risultato: l’imponibile salirebbe e con esso il gettito dello stato. Infine, nel mirino vi sarebbero i proprietari di seconde case: stop alla cedola secca del 21% sui canoni di locazione, i quali tornerebbero ad essere sottoposti alla tassazione ordinarie, cioè alle più alte aliquote IRPEF.

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