Prima ancora che esca oggi il dato sull’inflazione negli USA a maggio, il segretario del Tesoro, Janet Yellen, ribadiva un concetto espresso nei mesi scorsi: di questo passo, il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve sarà necessario per evitare il surriscaldamento dell’economia americana. Le parole della prima donna alla guida delle finanze negli States sono doppiamente importanti. Anzitutto, perché tra il 2014 e il 2018 è stata a capo proprio della FED. Tre anni fa, l’allora presidente Donald Trump le negò un secondo mandato.

Secondariamente, perché non capita quasi mai (per non dire mai) che sia il governo a paventare un aumento del costo del denaro.

Generalmente, il rialzo dei tassi è prospettato con un certo anticipo dalla banca centrale, così da orientare sia il mercato che il governo. Stavolta, sta accadendo il contrario. La FED continua a mostrarsi accomodante e il governo americano mette in guardia (i mercati?) che una stretta monetaria si renderà obbligata con questi ritmi di ripresa del PIL e dell’occupazione. La FED ha il vincolo del doppio mandato. Essa deve garantire la stabilità dei prezzi (target d’inflazione al 2%), contestualmente alla massima occupazione sul mercato del lavoro (tasso di disoccupazione in area 4%).

Rialzo dei tassi FED e l’impatto sull’Eurozona

A maggio, la disoccupazione è scesa al 5,8% dal 6,1% di aprile. Nel frattempo, però, l’inflazione è salita al 4,2%. E vedremo oggi il dato di maggio. Le graduali riaperture delle attività lasciano intravedere una discesa della prima e un’ulteriore accelerazione (temporanea) della seconda. Ed ecco che la FED si troverà presto nella condizione di dover provvedere al suo primo rialzo dei tassi dopo il Covid per evitare di perdere il controllo dei prezzi. A tale proposito, il governatore Jerome Powell sta prendendo tempo, avendo comunicato di tollerare tassi d’inflazione sopra il target per un periodo adeguato a compensare il tempo trascorso dall’economia con tassi d’inflazione inferiori al target.

E’ il concetto della simmetria temporale, che consente di tenere bassi i tassi in un contesto di veloce risalita dei prezzi e senza infrangere formalmente il mandato.

Il rialzo dei tassi FED non sarebbe così lontano, sebbene dallo stesso istituto si prospetti una prima stretta non prima del 2023. A fine giugno, con ogni probabilità l’economia americana avrà annullato le perdite accusate con la pandemia. Avverrebbe con oltre un anno di anticipo rispetto all’Eurozona. Gli stimoli monetari negli USA non avrebbero più senso già a partire dai prossimi mesi, almeno non in queste dimensioni. Ma l’arrivo della stretta americana segna i tempi per la normalizzazione monetaria anche nel resto del mondo.

I rendimenti dei Treasuries saliranno ancora e il dollaro si rafforzerà per gli afflussi dei capitali verso gli USA. Di conseguenza, i bond dell’Eurozona ne subiranno le conseguenze. Dovranno offrire anch’essi di più per attirare domanda sufficiente. In un certo senso, la prospettiva di un rialzo dei tassi FED avvicina la normalizzazione dei mercati finanziari anche nell’Area Euro, stimoli o non stimoli della BCE. E potete stare certi che al board di oggi a Francoforte le parole di Yellen avranno un peso.

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