La BCE non ha prospettato alcun rialzo dei tassi da qui a breve, mentre ha confermato che gli acquisti netti dei bond con il “quantitative easing” (QE) avverrà con ogni probabilità nel terzo trimestre. Nessuna novità concreta dal board di giovedì scorso, se non la cristallizzazione dei tempi per l’avvio della stretta monetaria nell’Eurozona.

Oramai, il rialzo dei tassi nell’area appare non più rinviabile dopo che è salito il numero delle banche centrali nel mondo ad avere già aumentato il costo del denaro.

Dalla Nuova Zelanda al Canada, passando per Corea del Sud, USA, Regno Unito e Norvegia, i governatori reagiscono all’alta inflazione. Stando alla “forward guidance”, però, Francoforte non potrebbe alzarsi una mattina e annunciare di avere alzato i tassi d’interesse. Se lo facesse, contravverrebbe la parola data, in base alla quale ciò avverrebbe solo dopo che sarà decorso un periodo congruo dalla cessazione degli acquisti netti di asset realizzati con il QE.

Fino a poco tempo fa, tale congruità era considerata in sei mesi. Adesso, questo lasso di tempo intercorrente tra la fine degli stimoli e l’avvio della stretta monetaria sembra ridursi notevolmente, grosso modo dimezzato. Dunque, se la BCE smettesse di acquistare bond a luglio, verosimilmente già al board di ottobre avrebbe il modo di annunciare il primo rialzo dei tassi dal lontanissimo 2011. Da qui ad allora, mancano sei mesi. Un po’ troppi per sperare che famiglie, imprese e mercati pazientino con l’inflazione al galoppo. La speranza di Christine Lagarde sarebbe che, raggiunto il picco, già nei prossimi mesi l’inflazione iniziasse a decelerare.

Rialzo tassi BCE: conseguenze su mutui, prestiti e risparmi

Nulla vieterebbe, comunque, che la BCE modifichi già al prossimo board la “guidance” per segnalare l’accelerazione dei tempi per il rialzo dei tassi. Ipotesi non esclusa nel caso in cui l’inflazione continuasse ad accelerare.

Cerchiamo adesso di capire cosa accadrà prima o poi di preciso. Da molti anni, la BCE non solo non paga le banche dell’Eurozona per la liquidità in eccesso depositata da queste presso di essa; al contrario, impone loro tassi negativi, cioè un costo. Come se la banca, anziché remunerarmi per aver depositato i miei soldi su un suo conto vincolato, mi facesse pagare per il servizio offerto.

L’idea alla base di questo paradosso è che le banche trovino più conveniente prestare denaro a imprese e famiglie, immettendo liquidità in circolazione e sostenendo l’inflazione verso il target del 2%. Chiaramente, questa policy fu ideata quando la crescita tendenziale dei prezzi era prossima allo zero. Il mercato sconta che da qui ad un anno i tassi sui depositi saranno almeno dello 0,25% più alti. In generale, questo comporterà un aumento di tutta la struttura dei tassi. Le banche pretenderanno interessi maggiori su prestiti e mutui, ma anche i risparmiatori saranno maggiormente remunerati per il denaro depositato sui conti o investiti sui mercati a reddito fisso, ad esempio acquistando obbligazioni.

Il rialzo dei tassi BCE sarà certamente un male per coloro che dovranno indebitarsi (imprese, governi e le stesse famiglie), un bene per quanti dispongano di liquidità da prestare (essenzialmente, le famiglie). Condizioni monetarie più restrittive ridurranno l’eccesso di liquidità in circolazione, abbassando i tassi d’inflazione. E ciò offrirà sollievo a consumatori e lavoratori.

[email protected]