Non voleva credere ai suoi occhi l’ex premier Enrico Letta, quando nella giornata di ieri i suoi collaboratori gli hanno inviato alcune pagine di Avanti, il libro scritto dal suo successore e attuale segretario del PD, Matteo Renzi. In esso si ripercorrono i 1.000 giorni di governo, con attacchi al vetriolo contro tutti quelli che gli avrebbero messo il bastone tra le ruote. Quello che Letta non poteva aspettarsi, però, è che ce ne sarebbero state persino per lui, nonostante da quel febbraio del 2014, quando venne disarcionato dalla guida dell’esecutivo dopo un rassicurante “Enrico stai sereno” via Twitter, egli si sia praticamente ritirato dalla vita politica, limitandosi a qualche breve riflessione pubblica ed evitando il più possibile di tornare sui suoi rapporti con Renzi.

E, invece, nel libro viene dipinto come una “vittima”, nonostante privo di mandato popolare, spiega il segretario dem, che infierisce rimarcando come l’unica volta che si candidò a qualcosa fu alle primarie del PD, raccogliendo “la miseria dell’11%”. Non fu un golpe ai suoi danni, continua, il cambio di governo, bensì una richiesta esplicita da parte della minoranza del partito, che avrebbe chiesto a Renzi, appunto, di prendere le redini dell’esecutivo. E descrive quel famoso tweet inviato poco prima all’allora premier come frutto di “affettuosità”. “Lo rifarei domani”, chiosa.

Letta non avrebbe nemmeno voluto rispondere, pur esternando sin da subito nella giornata di ieri alla cerchia dei suoi amici il suo personale disgusto per un caso, che giudica essere roba da psicanalisi. Spinto proprio da amici e collaboratori a pubblicare un qualche commento, ha affidato alle agenzie di stampa poche parole per spiegare “l’incolmabile distanza” che lo separerebbe con Renzi e confidando nella capacità di giudizio degli italiani, ma non intenzionato a farsi trascinare nella polemica. (Leggi anche: Caos PD, Prodi invoca Corbyn per abbattere Renzi da sinistra)

Renzi crea sempre più nemici pubblici

Sul perché Renzi abbia voluto tirare in ballo la figura del suo predecessore a Palazzo Chigi, quando questi è ad oggi l’unico tra i leader democratici a non riservargli attacchi pubblici, è questione difficile da comprendere.

La spiegazione forse sarebbe banale; trattandosi di un libro, il segretario del PD ha voluto ripercorrere le fasi che lo hanno portato al governo nel 2014, ma dovendosi difendere da quella vulgata politica e popolare, che lo vorrebbe traditore dell’allora premier per pure ambizioni personali. Da qui, l’appassionata ricostruzione.

Vero è, però, che avrebbe potuto utilizzare parole meno negative su Letta, pur nella legittimazione del suo operato. Al contrario, Renzi lo ha descritto come un uomo privo di consenso popolare e vittima del suo stesso partito, che lo avrebbe mollato in suo favore. Di fatto, che Letta e Renzi non siano amici da quel febbraio di tre anni fa è cosa ovvia e risaputa, ma che senso ha farsi un nuovo nemico pubblico, ora che servirebbe ridurre al minimo le tensioni nel PD per rafforzare la propria leadership?

Che sia un tentativo mirato per rinnovare la propria immagine di rottamatore contro tutto il resto del mondo o meno, una cosa appare verosimile: forse non siamo a quella roba da psicanalisi a cui accennava Letta, ma Renzi costituisce un caso comportamentale abbastanza stupefacente. Punta a crearsi sempre nuovi nemici, anche quando potrebbe farne a meno, consapevole che la cifra della propria leadership risieda non nel suo proporre, bensì nel suo contrapporre. (Leggi anche: E’ Calenda l’anti-Renzi, in gioco premiership)

Leadership di Renzi vacilla

Renzi spererebbe in cuor suo che anche i Dario Franceschini lasciassero il PD, in modo da avere presa totale sul partito, gestendolo ancora di più a sua immagine e somiglianza. Per riuscire nell’obiettivo, dovrà accrescere la sua indisponenza, intensificare gli attacchi personali e politici contro “alleati” interni e minoranze, spingendo fuori dalla porta con la forza dei numeri chi non condividesse la propria linea, seguendo Bersani&Co a sinistra o aggregandosi ai rimasugli centristi presenti in Parlamento.

Che questa strategia possa essere portata avanti all’infinito appare improbabile. Il PD non è in fase di ascesa nei consensi, bensì in discesa, mentre sul piano politico si mostra un soggetto solitario e sempre meno di centro-sinistra, generando disorientamento tra la base, i cui connotati “ideologici” sono praticamente inesistenti. La scommessa renziana di creare il vuoto attorno a sé e di fare fuori ogni tipo di opposizione interna ha pagato fino a quando il PD sembrava avvantaggiarsene, ma adesso che il centro-destra è in ripresa e che Silvio Berlusconi sembra intenzionato a giocare la sua partita al centro, sono in tanti e sempre più numerosi a prevedere il rischio di perdere fette di elettori nel centro-sinistra, senza guadagnarne dall’altra parte. (Leggi anche: Berlusconi risorge ancora e stavolta grazie a Renzi)

Matteo Renzi non sarà eliminato con primarie, perché a maggior ragione che oggi il PD è semplicemente il suo partito, appare inverosimile che qualcun altro dall’interno riesca a sovrastarlo nei consensi. Il declino definitivo della sua leadership avverrebbe in Parlamento, quando le pattuglie di parlamentari, che pure dovranno per la gran parte a lui l’elezione, si renderanno conto di essere guidate da un generale senza meta, che insegue la sola bussola del ritorno al governo con chicchessia. Saranno gli smottamenti alla Camera e al Senato a decretarne forse la fine come leader politico. Sempre che sia in grado di farsi candidare a premier alle prossime elezioni. E dalle parti di Franceschini non sembrano così convinti.