Luigi Di Maio non poteva immaginare esito più amaro per la gestione del suo successo elettorale, rischiando a due mesi dal voto di restare non solo con in mano un pugno di mosche sul piano politico, ma anche di finire presto rottamato dai suoi stessi “amici” di partito. Ieri, in un’intervista al sito online e settimanale francese Putsch è tornato a farsi sentire il grande capo, Beppe Grillo. E lo ha fatto come da suo stile, alzando i toni dello scontro e della dialettica politica, invocando la celebrazione di un referendum sull’euro in Italia per lasciare decidere i cittadini se intendano o meno tornare alla lira.

E alla domanda se l’Europa garantisca la libertà, egli ha risposto che bisognerebbe andare verso un’Europa “delle regioni” e citando le proposte di bilancio europeo comune, gli Eurobond e la condivisione del debito, tutti argomenti che erano rimasti fuori dal dibattito post-elettorale. Anzi, impegnato nel rassicurare i mercati e le cancellerie europee, Di Maio si era dato sin dalla campagna elettorale un’aria moderata, rafforzandola dopo il 4 marzo, quando al Colle aveva benedetto sostanzialmente i raid USA in Siria e aveva garantito per lo spirito atlantista ed europeista dell’M5S.

Governo tecnico? Sarà un Vietnam in Parlamento, ringraziate Di Maio

Tutto, pur di guidare il governo. I fatti degli ultimi giorni stanno andando in una direzione non impensabile, ma certo non auspicata. L’M5S rischia di subire un governo del presidente, istituzionale o tecnico che dir si voglia e, dunque, a Di Maio non resta che invocare elezioni anticipate e tornare ad attaccare gli altri schieramenti a testa bassa (“traditori del popolo”), consapevole che la sua svolta moderata gli si ritorcerebbe contro nel momento in cui la base dovesse essere nuovamente chiamata a scegliere il prossimo candidato premier. Già sono fioccate le delusioni tra gli elettori più convinti e i segnali arrivati da Molise e, soprattutto, Friuli-Venezia-Giulia sono stati assai allarmanti per il movimento, in crollo verticale a Trieste in meno di due mesi.

Di Maio sarà rottamato da Grillo

I grillini non sono mai stati un soggetto politico monolitico, anzi se il loro carattere non ideologico è stato un plus all’atto della raccolta del consenso, si è sempre trasformato in un minus al momento di trasformarlo in atti politico-istituzionali. Lo scontro tra governisti o realisti da un lato e idealisti dall’altro sta animando il dibattito anche in queste intense settimane, quando Di Maio ha dovuto fare ingoiare ai propri parlamentari il rospo amaro dell’elezione della berlusconiana di ferro Maria Elisabetta Alberti Casellati come presidente del Senato, al fine di ottenere da Forza Italia lo stesso favore alla Camera con Roberto Fico, quest’ultimo a capo dell’ala più intransigente dei 5 Stelle e apparentemente ostile al modus operandi del leader.

Se dopodomani svanissero del tutto le probabilità di andare al governo o di appoggiarne almeno uno con la Lega, al 31-enne di Pomigliano d’Arco verrebbe rimbrottata la strategia fallimentare sin qui seguita. Per sua sfortuna, esiste una leadership alternativa dentro al movimento e che trova in Alessandro Di Battista, per gli amici “Dibba”, la sua massima espressione tra gli idealisti. Non a caso, il romano non si è candidato alle ultime elezioni, lasciandosi fuori dai riflettori e libero di cercare un secondo mandato nel caso servisse, data la regola interna del limite delle due elezioni, formalmente raggiunto da Di Maio con il 4 marzo.

Berlusconi attacca gli alleati confidando in Diba

E alla fine arriva Dibba

Dibba è personaggio assai diverso da Di Maio. A capo dell’M5S, egli sposterebbe a sinistra la linea politica e imposterebbe il dibattito sui temi sanguigni della lotta ai privilegi e alla “casta” politica, nonché contro l’euro, le banche, l’Europa, la NATO, la flessibilità del lavoro, etc.

Per il PD sarebbe una prospettiva tremenda, visto che un Di Battista leader dei 5 Stelle rischierebbe di prosciugare l’elettorato di centro-sinistra, mentre forse converrebbe al centro-destra, liberandosi più nitidamente spazi elettorali in proprio favore. Saremo pure maliziosi, ma l’idealista ha appena sottoscritto un contratto editoriale da 400.000 euro con la Rizzoli, società editoriale di proprietà della famiglia Berlusconi, quello che lo stesso Dibba ebbe a definire “male assoluto” alla vigilia delle consultazioni del mese scorso, di fatto contribuendo a fare saltare in aria la trattativa tra Di Maio e centro-destra per formare il nuovo governo.

A Silvio Berlusconi converrebbe un Di Battista leader al posto di Di Maio, perché l’M5S si sposterebbe più a sinistra, ma al contempo si isolerebbe istituzionalmente, quasi auto-condannandosi all’opposizione, tranne che non riuscisse a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Rispetto all’attuale candidato premier, sarebbe una figura più carismatica tra la base più dura e pura, ma chissà se conquisterebbe gli stessi voti o se metterebbe in fuga l’elettorato più moderato, che tornerebbe a guardare al centro-destra, specie alla Lega.

Detto ciò, di sicuro il linguaggio dei grillini tornerà più crudo, radicale, anche da parte di Di Maio, una volta che dovesse sfumare definitivamente la prospettiva del governo. Grillo non lo ha mai amato sul serio, preferendogli Dibba, ma per ragioni di calcolo politico, ovvero nella consapevolezza che l’M5S avrebbe avuto difficilmente i voti sufficienti per governare, lo ha voluto a capo del movimento per bruciarlo. E’ il cinismo del comico genovese, che farà ridere assai poco Di Maio, quando scoprirà di essere stato rottamato e che gli siano state addebitate le responsabilità per il mancato buon esito delle trattative sul governo. I grillini torneranno anti-sistema e inveiranno con più ardore di prima contro l’euro, Bruxelles e gli inciuci di palazzo, chiedendo il reddito di cittadinanza per tutti coloro che non lavorano, quando nelle ultime settimane lo hanno accantonato.

Ma con quale credibilità?

Il voto in Friuli urla a Di Maio di essere stato inadatto a gestire il successo elettorale

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