Volano gli stracci tra Consiglio europeo ed Europarlamento, dopo che il secondo si è rifiutato di ratificare le decisioni adottate dal primo su bilancio comunitario 2021-2027 e “Recovery Fund”, quest’ultimo formalmente anche noto come Next Generation EU. Il portavoce della presidenza di turno tedesca ha definito “deplorevole” il comportamento degli eurodeputati, i quali hanno reagito a loro volta tramite il loro portavoce Jaume Duch: “impossibile andare avanti in mancanza di una valida risposta della presidenza tedesca”.

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A dividere le parti sono due punti fondamentali.

Il primo riguarda i tetti di spesa fissati dal Consiglio per il bilancio comunitario. A tale proposito, Strasburgo vorrebbe che venissero finanziati 15 capitoli di spesa e che si andasse anche oltre i massimali sin qui previsti per i prossimi 7 anni. Secondariamente, vorrebbe che i fondi europei fossero legati alla clausola sul rispetto dello stato di diritto, un tema molto sensibile e che riguarda particolarmente Ungheria e Polonia. I governi dei due paesi, in rotta di collisione da anni con Bruxelles, sono retti da premier appartenenti alla famiglia del PPE e dell’ECR rispettivamente, cioè due partiti di centro-destra e che sostengono (non tutti nell’ECR) la Commissione von der Leyen. Viktor Orban, in particolare, è stretto alleato della cancelliera Angela Merkel.

Fatto sta che i tempi di approvazione per bilancio e Recovery Fund slittano. Il vertice del Consiglio del 15-16 ottobre dovrà sciogliere almeno qualche nodo, ma la sensazione è che si possa andare avanti per le lunghe, ritardando l’entrata in vigore del fondo da 750 miliardi di euro in 3 anni e che per i mercati finanziari rappresenta una garanzia comunitaria apposta sulle economie più deboli e alle prese con i maggiori problemi fiscali. Se l’Italia non è finita nell’occhio del ciclone dopo aprile è essenzialmente proprio per il sostegno ricevuto da Bruxelles con l’accordo sul Recovery Fund, prospettato dalla Commissione a fine maggio e approvato dal Consiglio nella seconda metà di luglio.

Recovery Fund garanzia per i BTp

Non importa il fondo in sé, quanto il suo significato: a differenza della crisi del 2008-’09, gli stati più deboli non verranno lasciati soli e s’intravede una prima forma, pur timida, di mutualizzazione dei debiti nel Vecchio Continente. Di fatto centinaia di miliardi di risorse verranno trasferiti dal Nord al Sud Europa. Il punto è che non tutti i governi sono felici di pagare per gli altri, anzi di fatto nessuno. L’Olanda ha guidato il fronte dei contrari, insieme ad Austria, Danimarca e Svezia. I “Frugal Four” potrebbero aver perso il primo tempo, ma siamo sicuri che non si siano attrezzati per combattere dietro le quinte e vincere la partita finale? Se così fosse, per l’Italia si metterebbe male. A fine 2020, il suo rapporto debito/pil arriverà al 160%, doppiando quello tedesco. E queste stime non tengono conto di eventuali nuove restrizioni o di un secondo vero e proprio “lockdown”, nel quale caso non solo il pil collasserebbe ulteriormente, ma la stessa ripresa arriverebbe più tardi e lentamente.

Già senza intoppi, riceveremmo i primissimi fondi del “Recovery Fund” nel secondo trimestre dell’anno prossimo. Parliamo di una manciata di miliardi, mentre il grosso verrebbe erogato solo a partire dalla seconda metà del 2021. Troppo tardi, specie se nel frattempo registrassimo una reale seconda ondata dei contagi. Ma finché il fondo esiste, i mercati confidano nel sostegno implicito di Bruxelles al nostro debito. Se questa certezza venisse meno, tornerebbero a mettere i BTp nel mirino in men che non si dica. Per fortuna, una Magna Grecia in piena crisi sanitaria non conviene a nessuno.

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