L’Olanda si mette di traverso e dice “no” al Recovery Fund così com’è stato concepito dalla Commissione europea. In questa battaglia non è sola, bensì alleata dei cosiddetti paesi “frugali”, vale a dire Austria, Danimarca e Svezia. Ma la posizione dell’Aja appare oggi la più intransigente, tanto che dopo 12 ore di riunione-fiume a Bruxelles per trovare un accordo, la seduta è stata aggiornata alle ore 11 di questa mattina. La sensazione è che qualche passo in avanti possa pure compiersi, ma che un’intesa vera e propria slitterebbe almeno a fine mese.

Il premier Mark Rutte sostiene la necessità per anche solo un paese europeo di bloccare gli aiuti del fondo, di fatto assegnando a tutte le capitali il diritto di veto. A non convincerlo sono diversi aspetti, tra cui, anzitutto, la ripartizione degli aiuti a fondo perduto e dei prestiti, con l’Olanda a volere che i primi siano quanto più contenuti possibili e che i secondi stessi vengano condizionati al varo di un’agenda di riforme per risanare i conti pubblici e sostenere la crescita nel medio-lungo termine.

La stessa entità del fondo di 750 miliardi viene messa in discussione, dato che i “Frugal Four” vorrebbero che fosse abbassata. A presiedere la riunione è stato e sarà l’ex premier belga, Charles Michel, nelle vesti di presidente del Consiglio europeo, anche se la presidenza di turno della UE in questo semestre è in mano alla cancelliera Angela Merkel, che si sta affannando per evitare un flop pericoloso per la tenuta dell’Eurozona in piena crisi e rovinoso per la sua stessa immagine di leader.

Il vero rischio del Recovery Fund è che finiremo per finanziare la ripresa degli altri

La poltrona di Conte traballa

Strettamente connessa al Recovery Fund vi è l’approvazione del bilancio comunitario da 1.050 miliardi di euro per i prossimi 7 anni. Di fatto, l’Olanda sta bloccando entrambi per evitare che gli stati del Sud Europa ottengano aiuti e prestiti senza condizioni e, soprattutto, per potenziare al massimo i controlli sugli stati beneficiari.

Rutte vorrebbe che questi ricadessero in capo agli stessi capi di stato e di governo, volendo escludere che a monitorare le erogazioni fosse la sola Commissione, la quale in questi anni si è mostrata abbastanza benevola un po’ con chiunque abbia trasgredito le regole fiscali.

Il premier italiano Giuseppe Conte è quello che su questa partita ha scommesso tutto. Se tornasse a casa con un pugno di mosche, la sua permanenza a Palazzo Chigi diverrebbe molto a rischio. Ed è proprio Conte a non convincere gli stati del nord. Le sue misure di sostegno all’economia di queste settimane hanno attirato gli strali di capitali come Vienna, con il cancelliere Sebastian Kurz a dichiarare senza fronzoli di non poter giustificare aiuti all’Italia dinnanzi ai cittadini austriaci, se a Roma le risorse vengono impiegate tra l’altro per mandare gli italiani in ferie, con chiaro riferimento al bonus vacanze.

Conte non può permettersi l’insuccesso, anche perché sinora i mercati finanziari e le stesse agenzie di rating si sono mostrati benevoli nei confronti dei BTp, rassicurati del fatto che non solo la BCE stia sostenendoli con una politica monetaria ultra-espansiva e senza precedenti nella storia più che ventennale dell’euro, ma anche che a Bruxelles saranno introdotti prima o poi meccanismi minimi di unione fiscale, che all’impatto darebbero sollievo alle economie collassate come quella italiana.

Il Recovery Fund è una recita che serve a tutti, Italia per prima

Italia senza programma

Non possiamo nemmeno escludere che la UE rinvii a settembre il raggiungimento di un accordo, date le grosse divergenze tra governi. Se così fosse, l’estate a Roma si farebbe torrida.

Le tensioni nella maggioranza “giallo-rossa” monterebbero ulteriormente su un altro capitolo che ha a che vedere con l’Europa: il MES. PD e Italia Viva premono da mesi, affinché Palazzo Chigi chieda fino ai 36 miliardi spettanti all’Italia per finanziare programmi di spesa sanitari a costi sostanzialmente nulli. Il Movimento 5 Stelle è contrario, perché teme che l’assenza di condizioni per tali aiuti sia solo temporanea e strumentale a far incappare l’Italia in un commissariamento postumo.

La verità è che Conte a Bruxelles si è presentato anche ieri con il cappello in mano, ma senza uno stralcio di piano con cui giustificare la richiesta di aiuti. Per quali spese dovremmo prendere a prestito fino ai 57 miliardi di euro netti di cui l’Italia avrebbe diritto? Non si conoscono né gli obiettivi e né le misure concrete per l’impiego delle risorse. E gli olandesi giustamente temono di finire a versare denari a fondo perduto in un pozzo senza fondo e senza, peraltro, che la stessa economia italiana ne tragga giovamento. Inammissibile agli occhi di Rutte, ma a rifletterci bene lo sarebbe anche per noi stessi italiani, che dovremmo pretendere dal nostro governo azioni incisive per la ripresa e non slogan.

Recovery Fund, il contributo netto all’Italia scende a 57 mld e sarà condizionato

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