Il cambio euro-dollaro resta debole, intorno ai minimi da un mese, e continua a sostare in area 1,06, perdendo il 2,6% rispetto a due settimane fa, quando aveva toccato i massimi da metà novembre scorso. La tensione sui mercati finanziari è palpabile e legata all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali in Francia, il cui primo turno si celebra il 23 aprile prossimo. Lo spread tra i rendimenti degli Oat e quelli dei Bund a 10 anni è superiore a 70 punti base, con i primi allo 0,95%. Sulla scadenza a 2 anni, il differenziale è salito a 55-56 bp, ovvero al livello più alto dalle precedenti elezioni di 5 anni fa, che coincisero con i mesi più bui della crisi dell’euro e dei debiti sovrani della periferia dell’Eurozona.

Pensate che all’inizio dell’anno, le distanze erano ancora intorno ai 10 bp.

Analisti e traders restano convinti, che salvo sorprese negative, come la vittoria della candidata euro-scettica Marine Le Pen al ballottaggio, l’euro sia destinato al rally, specie se la Federal Reserve dovesse segnalare un proseguimento della stretta monetaria a passo lento. Lo scenario di base di pressoché tutti gli istituti è di un testa a testa nei consensi al primo turno tra Le Pen e il candidato centrista e filo-UE, Emmanuel Macron, ma con quest’ultimo a vincere facile al ballottaggio, godendo del sostegno delle altre forze politiche. (Leggi anche: Vince Le Pen, mercati sotto shock, che succede?)

La corsa per l’Eliseo sale a quattro

Negli ultimi giorni, il quadro è diventato un po’ meno prevedibile di quanto già non fosse confuso. La coppia Le Pen-Macron sembra perdere quota al 23-24% dei consensi, pur restando in testa, ma alle loro calcagna si posiziona un’altra accoppiata, quella composta dal conservatore François Fillon e dal filo-comunista Jean-Luc Mélénchon, quest’ultimo in rapida ascesa nei sondaggi da un paio di settimane, aiutato da un paio di buone performance ai dibattiti televisivi sulle presidenziali.

I due sarebbero appaiati intorno al 18-19%.

Mélénchon sta prendendo di mira l’elettorato socialista, quello in caduta libera di Benoit Hamon, che potrebbe venire umiliato alle urne con un risultato inferiore al 10%, ma anche quello centrista di Macron, che non a caso ha iniziato ad attaccare il candidato della sinistra radicale con una serie di tweets critici verso le sue politiche economiche anti-business. (Leggi anche: Scenario peggiore per i mercati prende corpo)

Avanzano le formazioni anti-sistema

Quando mancano 12 giorni al primo turno, non possiamo sbilanciarsi con certezza nemmeno su quali siano i 2 candidati in grado di approdare al ballottaggio. Lo scenario più sgradito ai mercati sarebbe quello di uno scontro finale tra Le Pen e Mélénchon, entrambi candidati anti-sistema, contrari alla UE, tanto da proporre un referendum sulla permanenza in essa della Francia. L’unica reale differenza sta nella gestione della sicurezza e dell’immigrazione, ma per il resto entrambi si fanno carico di istanze contrarie all’establishment.

Ad oggi, le probabilità che un simile scenario si concretizzi restano basse, ma il punto è un altro: in che condizioni verserà politicamente la Francia tra pochi giorni, quando sarà ufficiale che con ogni probabilità non arrivi al ballottaggio nemmeno uno dei rappresentanti dei principali schieramenti (i Repubblicani neo-gollisti oggi all’opposizione e i socialisti al governo), com’è accaduto lo scorso anno in Austria? E se i socialisti scendessero persino sotto la soglia del 10% non sarebbe la prova di una crisi devastante della gauche storica, incommensurabilmente più grande di quella accusata nel 2002, quando pur restando esclusa dal ballottaggio registrò percentuali ben più onorevoli? (Leggi anche: Hollande lascia sinistra a pezzi)

Rally euro probabilmente non duraturo

Ammesso che a vincere sia il rassicurante (per Bruxelles) Macron, Parigi scivolerebbe forse verso la fine della Quinta Repubblica, con candidati anti-sistema preponderanti nei consensi e con un establishment europeo a tirare un sospiro di sollievo solo temporaneo, dato che il centrista non avrebbe dietro di sé una formazione in grado di sostenere il suo lustro all’Eliseo.

Entreremmo, quindi, in una stagione caratterizzata da una potenziale paralisi istituzionale e da una necessaria reinvenzione dei due principali schieramenti, ciascuno dei quali sarà costretto a prestare maggiore attenzione alle istanze euro-scettiche presenti in entrambi i fronti.

Che la seconda economia dell’Eurozona venga attraversata da tali tensioni non può costituire la base per una ripartenza dell’euro all’indomani delle elezioni. O meglio, la reazione dei mercati sarebbe certamente di giubilo nel caso di vittoria di un Macron o un Fillon, ma smaltita la sbornia, specie dopo un’eventuale vittoria del primo, tutti dovranno fare i conti con un clima politico molto meno rassicurante di oggi in una delle capitali fondatrici della UE. Il rally dell’euro avrebbe vita breve, anche perché ai dubbi sul nuovo corso francese si sommeranno le inquietudini per il voto italiani, al più tardi tra 10 mesi. (Leggi anche: Le Pen o Macron, se il vero rischio fosse un altro?)