Se hai un’economia al collasso, in cui una fetta rilevante della popolazione a stento riesce a sopravvivere e con la pandemia le condizioni di vita peggiorano ulteriormente, difficilmente immagineresti che il tasso di cambio stia volando. Invece, è quanto starebbe accadendo in questi mesi nella Corea del Nord. Quando pandemia fece la sua comparsa ufficiale nel mondo – siamo agli inizi del 2020 – un dollaro qui si scambiava contro circa 8.400 won. Attualmente, ne vale sui 5.200. Nel giro di poco più di un anno e mezzo, la valuta locale ha guadagnato qualcosa come il 40%.

In agosto, sono arrivati a bastare 4.723 won per un dollaro. Questo è quanto emerge attraverso il monitoraggio quotidiano di NK Daily, giornale di opposizione al regime di Kim Jong-Un e sito all’estero. La prima impressione sarebbe che forse le notizie drammatiche che arrivano dal regno “eremita” siano esagerate. In realtà, potrebbe essere il contrario. Se il cambio si rafforza, è perché c’è scarsa domanda di valuta estera. E questo succede quando si comprano meno beni dall’estero.

In effetti, le già scarsissime relazioni commerciali tra Corea del Nord e resto del mondo sono praticamente state azzerate dal Covid. Kim Jong-Un fece chiudere le frontiere con la Cina a inizio 2020, al fine di evitare l’importazione dei contagi. Ufficialmente, il paese non ha mai registrato un solo caso di Covid, semmai esistono centinaia di casi sospetti. Ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità dubita che i dati siano reali. Comunque sia, quasi azzerando le importazioni dalla Cina, i coreani non stanno avendo bisogno né di dollari, né di yuan per comprare merci dall’estero.

Corea del Nord e la caccia vietata ai dollari

Ed ecco spiegato il super-cambio nordcoreano. Tuttavia, probabile che non sia solo questo il motivo. Già dall’ottobre di un anno fa, l’ambasciata russa su Facebook avvertiva che a Pyongyang i commercianti non accettavano più dollari e chiedevano di essere pagati in won.

Un fatto alquanto strano per un paese, in cui la caccia ai dollari è stata costante negli ultimi decenni. Improbabile che all’improvviso gli scambi interni stiano avvenendo essenzialmente in won senza alcuna costrizione da parte dello stato. In altre parole, le autorità del regime comunista starebbero sopprimendo la domanda di dollari con la forza, vale a dire attraverso raid e controlli a tappeto.

In teoria, questo boom del won farebbe bene ai consumatori nordcoreani. Quel poco che si riesce ancora ad importare dall’estero lo si paga di meno. In realtà, rischia di mandare definitivamente a gambe per aria l’economia domestica. Un cambio eccessivamente forte sarebbe l’ultima cosa che servirebbe al paese per riprendersi dopo la pandemia. Del resto, pochi dubbi che la situazione sia allarmante, con voci sempre più diffuse di carestia, piaga conosciuta qui intorno alla metà degli anni Novanta. Ad esempio, il regime di Kim Jong-Un sta cercando di sostenere le nascite, calanti di anno in anno, imponendo prezzi amministrati per l’acquisto di prodotti per l’infanzia. Nel frattempo, però, proliferano aborti (clandestini) e metodi anticoncezionali in barba ai divieti.

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