La Corte Costituzionale di Karlsruhe ha definitivamente giudicato “legittimo” il piano di acquisti di bond da parte della Bundesbank e su ordine della BCE, noto come “quantitative easing”. I giudici tedeschi hanno respinto il ricorso presentato da Peter Gauweiler e Bernd Lucke, rispettivamente ex politico della CSU e fondatore del partito euro-scettico AfD. A loro avviso,

il Governo Federale e il Bundestag hanno sostanzialmente affrontato e approvato le decisioni di politica monetaria prese dal Consiglio dei Governatori BCE, a seguito della decisione del 5 maggio 2020, inclusa la valutazione di proporzionalità condotta e sostanziata dalla BCE nelle sue decisioni del 3-4 giugno 2020 a tale riguardo.

Il lungo “nein” al “quantitative easing”

La vicenda parte da lontano. A gennaio 2015, il board presieduto dall’allora governatore Mario Draghi vara il cosiddetto “quantitative easing”, un piano di acquisti di bond inizialmente da 60 miliardi di euro al mese e successivamente elevato a 80 miliardi. La Bundesbank è molto critica verso l’operazione, ma si trova costretta ad acquistare i titoli del debito su ordine della BCE. Alcuni accademici tedeschi fanno ricorso davanti ai giudici di Karlsruhe, intravedendo nell’operazione la violazione del divieto di finanziamento ai governi, inserito nei Trattati UE, così come del principio di proporzionalità. In sostanza, gli acquisti sarebbero stati una forma di monetizzazione dei debiti sovrani (e non) e spropositati rispetto all’obiettivo formale di centrare il target d’inflazione.

Il 5 maggio 2020, arriva la sentenza con cui l’Alta Corte sollecitava la BCE a fornire spiegazioni circa la proporzionalità di tali acquisti. La politica tedesca offre immediata copertura a Francoforte, come rilevato sostanzialmente nella sentenza. Vicenda apparentemente chiusa. Eppure, non sembra così. Poiché i giudici hanno fatto riferimento proprio all’accettazione della politica delle misure monetarie adottate dalla BCE, in un certo senso essi rimandano per il futuro proprio ad essa per rendere legittimi eventuali ulteriori stimoli monetari.

Le altre cause pendenti a Karlsruhe

In altre parole, se governo e/o Bundestag dovessero opporsi a una qualche misura varata dalla BCE, la copertura politica in Germania salterebbe e, a quel punto, Karlsruhe potrebbe sentenziare diversamente, adducendo tra l’altro che i contribuenti tedeschi sarebbero esposti a rischi eccessivi e non controllabili. Peraltro, il “quantitative easing” non è l’unico programma oggetto di attacco da parte dei tedeschi. Il Prof di Finanza all’Università di Berlino, Markus Kerber, ha presentato ricorso anche contro il PEPP. Trattasi del piano da 1.850 miliardi di euro, varato nel marzo 2020 per reagire alla pandemia.

E non c’è solo la BCE nel mirino degli accademici in Germania. Nelle scorse settimane, la ratifica del Recovery Fund è stata bloccata dai giudici costituzionali, a seguito di un ennesimo ricorso presentato contro il piano di sostegno alla ripresa post-Covid. Anche in questo caso, le preoccupazioni dei ricorrenti sono di natura squisitamente fiscale: i contribuenti tedeschi rischiano di pagare per i debiti fatti da altri governi e sui quali non hanno alcuna parola.

Il rischio politico da qui a breve che la Germania possa bloccare gli stimoli monetari tramite l’Alta Corte resta molto basso. Anzi, lo spostamento progressivo dell’elettorato a sinistra direbbe il contrario. Ma quel che importa è che la spada di Damocle che pende sulla testa della BCE non sia affatto venuta meno. Del resto, la diffidenza dei tedeschi verso la sostenibilità dei debiti e la qualità della spesa pubblica nel Sud Europa è alta da sempre. E la sentenza di Karlsruhe ci tiene a farci sapere che i programmi monetari restano legati al buon cuore dei politici di Berlino. E nessuno si metta in testa di proporre gli Eurobond, perché basterebbe il “nein” del cancelliere di turno per affossarli.

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