I “lockdown” imposti dai governi per contenere l’emergenza Coronavirus hanno avuto come vittima principale il retail. Ovunque nel mondo, il commercio ha accusato un colpo durissimo, data l’impossibilità per la stragrande maggioranza delle attività di aprire al pubblico. Gianmaria Panini di ELVinvest, società immobiliare svizzera dedita agli investimenti all’estero, nota come questo evento sia intervenuto in un settore già in crisi per ragioni strutturali. Prima ancora che sentissimo parlare di Covid-19, spiega, un quarto dei centri commerciali locali negli USA veniva considerato a rischio chiusura entro i prossimi anni.

Il retail soffre per il cambio delle abitudini dei consumatori, sempre più attivi negli acquisti online. Il problema non riguarda tutti allo stesso modo, perché ad oggi i negozi nelle vie principali e nei centri commerciali hanno retto molto meglio. La concentrazione delle attività in luoghi relativamente ristretti favorisce l’afflusso dei clienti, se non altro perché consente loro di accedere a un insieme di servizi (cinema, ristoranti, parrucchieri, centri estetisti, ludoteche, etc.) ritenuti indispensabili. Sarà così anche dopo la pandemia?

Tenanz Consultancy, consulente immobiliare britannico, stima in un 20-30% la caduta dei prezzi di affitto degli uffici. Difficilmente ritiene che torneremo a lavorare in realtà con migliaia di dipendenti ammassati. Le stesse aziende, aggiunge, hanno iniziato a farsi due conti e, a parità di produttività, stanno capendo che nel Regno Unito si arrivi a spendere fino a 16.000 sterline all’anno per ciascun lavoratore, al solo fine di garantirgli una postazione fisica negli uffici. Soldi che verrebbero grosso modo risparmiati con il telelavoro.

Il telelavoro rivoluzionerà il nostro modo di vivere e anche il mercato immobiliare

Dicotomia tra centro e periferia

In generale, dovremmo assistere a un crollo di domanda per le grosse superfici commerciali. I proprietari dovranno accontentarsi di canoni di affitto ben inferiori a quelli pre-Covid, sebbene il fenomeno riguarderebbe meno i centri commerciali e le vie principali, per quanto sopra detto.

In un certo senso, si creerebbe una crescente dicotomia tra il centro e la periferia, con prezzi nettamente calanti nella seconda e tendenzialmente stabili nel primo. Ma questo scenario sembra tutt’altro che scontato: il mantenimento delle distanze sociali non sarà un fenomeno di breve durata e starebbe già entrando nella mentalità di centinaia di milioni, forse miliardi, di persone nel mondo.

Se in futuro restassimo poco propensi a imbucarci in luoghi affollati, come lo sono tipicamente i centri commerciali, anche il loro appeal si ridurrebbe e con esso i prezzi delle superfici per canoni e vendite. Nel breve termine, potremmo assistere al rinvigorimento del localismo quale scelta individuale per i consumi. Le famiglie, scottate dalla pandemia, apprezzeranno maggiormente i prodotti locali e tenderanno a privilegiare i negozi in città per favorirne la ripresa, al netto delle considerazioni sul rapporto qualità/prezzo. Tuttavia, si tratterebbe di un fenomeno temporaneo, destinato a cedere il passo alla vera tendenza di fondo, che è lo shopping online.

Ed ecco che torna la crisi del retail tradizionale con annesso mercato immobiliare. Difficile per il piccolo negozio resistere a questo trend, mentre più agevole dovrebbe esserlo per le attività nei centri commerciali e ubicate nelle grandi vie dello shopping. I prezzi per metro quadrato delle superfici verosimilmente scenderanno, anche di molto, mentre tenderebbero a salire nei centri commerciali, qualora i piccoli commercianti corressero a frotte a ripararsi in questi ultimi. Sempre che il Covid non crei un mutamento strutturale nei comportamenti sociali, per cui il consumatore si terrà alla larga da posti affollati. In quel caso, proprio i centri commerciali rischierebbero grosso, a meno di non ripensarsi.

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