Occhio alle future buste paga, perché potreste trovare una sorpresa positiva. E’ allo studio del governo Meloni la possibilità per le imprese di erogare premi ai dipendenti fino a 3.000 euro l’anno e totalmente esentasse. La novità sarebbe concepita per dare una mano ai lavoratori, il cui potere di acquisto è stato devastato in questi mesi dall’inflazione ai massimi da quasi 40 anni. Gli stipendi stanno rimanendo quasi fermi, mentre il costo della vita a ottobre è schizzato dell’11,9% su base annua.

In cosa consisterebbe la misura? I premi ai dipendenti, erogati in aggiunta alla busta paga ordinaria, sarebbero esentasse. Il datore di lavoro non ci pagherebbe un solo euro di imposte e contributi e così neppure il lavoratore. Questo sistema darebbe una mano a fronteggiare il carovita.

Come funzionerebbero i premi ai dipendenti

Nell’attuale legislazione, sono già previsti premi ai dipendenti sgravati fiscalmente. Quelli erogati in relazione al raggiungimento di obiettivi legati alla produttività sono tassati al 10%. Ma la norma vale fino a 3.000 euro l’anno e per chi possiede retribuzioni fino a 80.000 euro. Solo convertendo tali premi in bonus e servizi di welfare aziendale si avrebbe la possibilità di non pagare un euro di tasse e contributi.

Capite bene che la detassazione sia un’agevolazione non di poco conto per il lavoratore. Ad esempio, chi oggi percepisce uno stipendio lordo di 30.000 euro l’anno, nel caso di straordinario dovrebbe versare al fisco il 35% della maggiore somma incassata nel mese, oltre al pagamento dei contributi INPS del 32,7%. Lavorare di più non vale la pena. Anzi, si rischia di perdere qualcuna delle mille agevolazioni legate all’ISEE.

D’altra parte il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) parla chiaro: ogni erogazione dell’impresa versata al lavoratore è da considerarsi retribuzione e, in quanto tale, va sottoposta all’imposizione fiscale e contributiva.

Gli stessi sindacati hanno avuto finora quasi un pregiudizio ideologico contro i premi ai dipendenti esentasse. Essi ritengono che ciò comporti una maggiore disparità di trattamento tra lavoratori e spinga gli stessi ad allungare l’orario di lavoro ordinario per guadagnare di più. E nella logica egualitaria che storicamente cercano di perseguire, non va bene.

Non soluzione contro inflazione

Ora si rischia, però, di commettere l’errore opposto. I premi ai dipendenti esentasse vanno benissimo per abbassare nei fatti la tassazione media a carico del lavoro. Più difficile pensare che possano essere una soluzione all’inflazione. Le imprese non sono tenuti a corrisponderli. Lo faranno solamente coloro che sono nelle condizioni di gratificare i dipendenti. Allo stato attuale, poche imprese; quasi tutte di grosse dimensioni e magari appartenenti a quei pochi comparti che sono riusciti a trarre beneficio dalla crisi dell’energia, come le compagnie petrolifere e del gas.

Questo non significa che la misura non andrebbe bene, semplicemente che non può essere pensata per offrire una soluzione concreta alla grande platea dei lavoratori. Sarà verosimilmente una sparuta minoranza a beneficiarne. Più importante sarebbe, invece, il concetto che ne scaturirebbe: tutto ciò che l’impresa versa al lavoratore va sgravato il più possibile sul piano fiscale e contributivo. Per ciò si dovrà mettere mano al TUIR. Al momento, però, i premi ai dipendenti esentasse sono pensati come una toppa momentanea, in scadenza dopo il 2024.

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