La popolazione in Cina continua a crescere al ritmo medio dello 0,5% all’anno, ma dovrebbe raggiungere il picco da qui al 2030 al massimo. I suoi abitanti sono 1,4 miliardi, quasi un quinto del totale nel mondo. Ma Pechino sta già fronteggiando un problema assai noto da decenni in Occidente: l’invecchiamento demografico. Nel 2016, il governo decise di liberalizzare parzialmente le nascite, ponendo fine alla politica del figlio unico introdotta alla fine degli anni Settanta. Adesso, è consentito avere un secondo figlio. Tuttavia, i risultati non si stanno vedendo.

Se nel 2016 si assistette a un incremento delle nascite di 1 milione di unità a 17,9 milioni, da allora il declino è stato costante e il 2020 si è chiuso con appena 12 milioni di nascite, ai minimi dal 1961.

Sembra che le donne non vogliano saperne di fare più figli. Decenni di politica del figlio unico hanno probabilmente inciso sulla mentalità, a cui si sommano le ristrettezze finanziarie di tante famiglie e le difficoltà di fare figli lavorando. Fatto sta che la popolazione in Cina invecchia e si stima che entro il 2050 oltre un quarto di essa avrà 65 anni o più. Attualmente, il tasso di fertilità per le donne cinesi è crollato ad appena 1,3, gli stessi livelli dell’Italia, uno degli stati alle prese con le maggiori difficoltà con le nascite.

Attualmente, degli 1,4 miliardi di abitanti circa 1 miliardo ha un’età compresa tra i 15 e i 59 anni, cioè fa parte della popolazione in età lavorativa. Di questi, gli occupati sono 775 milioni, pur con tendenza già decrescente. Di fatto, i tassi di occupazione sarebbero già altissimi e le imprese trovano difficoltà a trovare nuovi lavoratori. Questo è un problema grosso per l’economia cinese, che ha fatto dell’abbondante forza-lavoro a basso costo il suo modello di sviluppo. Ci sono alcune realtà, in cui l’assenza di manodopera disponibile sta spingendo le imprese a puntare maggiormente sulla tecnologia.

E se vogliamo, questa risposta è positiva, preludendo a possibili guadagni di produttività e a un nuovo paradigma su cui impostare lo sviluppo da qui in avanti.

Popolazione in Cina già vecchia con PIL medio-basso

Ad ogni modo, che la popolazione in Cina inizi a mostrare forti segnali di invecchiamento quando ancora si trova a uno stadio di sviluppo intermedio appare preoccupante. Ricordiamo che il PIL pro-capite cinese ancora si attesta a 11.000 dollari, meno di un quarto della media OCSE. In poche parole, la Cina sta avendo gli stessi problemi del mondo ricco senza ancora farne parte. E non c’è solo la questione delle basse nascite ad impensierire. Ancora oggi, esiste un certo squilibrio tra nascituri maschi e femmine. Il rapporto tra i due è di 1,05, cioè 105 contro 100. In alcune province, però, si arriva tranquillamente a 110, con la conseguenza che molti uomini non trovano una donna con cui formarsi una famiglia. E ciò è ulteriore fonte di tensioni sociali.

Da cosa dipendono le basse nascite di bambine? Durante i decenni della politica del figlio unico, poiché le famiglie dovevano puntare su un solo discendente, in molti casi preferivano che fosse maschio. In questo modo, avrebbe potuto dare una mano nei lavori manuali e, soprattutto, non avrebbe comportato costi per il matrimonio. Infatti, sono a tutti noto il triste fenomeno degli aborti di feti femminili e gli agghiaccianti resoconti di abbandoni di neonate, in molti casi destinate a morte certa.

La pianificazione demografica di Pechino sta avendo, quindi, effetti collaterali inattesi. Il regime comunista sperava di riuscire con una legge a rimediare al declino delle nascite, ma adesso teme che questo trend sia inarrestabile. Del resto, gli scarsi servizi offerti alle madri lavoratrici non incoraggiano decisioni familiari in altra direzione. Resta l’estrema ratio di liberalizzare la politica migratoria, ad oggi molto rigida.

Significherebbe accettare un numero maggiore e crescente di immigrati di anno in anno. Non sarebbe un grosso problema, ad essere sinceri. Basti pensare che al suo confine nord-orientale c’è la Corea del Nord, che smania per inviare lavoratori-schiavi a pagamento. Per non parlare di grossi stati come Pakistan, India e Vietnam. Ma il regime deve decidere in fretta, perché già la Cina subisce la delocalizzazione a favore di realtà proprio come il Vietnam, grazie al minore costo del lavoro e a una manodopera anch’essa abbondante.

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