E’ tensione tra maggioranza e opposizioni, ma anche tra governo Meloni e Corte dei Conti sul PNRR. Il pomo della discordia riguarda i ritardi nell’implementazione del piano da oltre 200 miliardi di euro, di cui 191,5 miliardi sono fondi europei. Di questi, una settantina sono i sussidi (a fondo perduto) e circa 121 miliardi i prestiti. Dovranno essere spesi dall’Italia entro il 2026, ma il nostro Paese sembra in ritardo sulla tabella di marcia. Questi fondi, in effetti, sono erogati dall’Unione Europea in tranche infra-annuali e sulla base dell’attuazione di numerose micro-riforme e del raggiungimento di altrettanti obiettivi.

Cifre di Corte dei Conti

La Corte dei Conti ha certificato che nei primi quattro mesi di quest’anno l’Italia ha speso grazie al PNRR appena 1,2 miliardi su un totale di oltre 32 miliardi previsti per l’intero 2023. I magistrati contabili, tuttavia, non hanno parlato di ritardi, almeno “non necessariamente”. E hanno svolto un’analisi molto minuziosa sulle ragioni del possibile impasse in corso. Ad esempio, hanno notato come gran parte dei fondi sia stato utilizzato attraverso l’erogazione di bonus – si pensi al Superbonus – che sono più facili da spendere. I famosi investimenti in opere pubbliche stentano, invece, a decollare.

Il governo non l’ha presa bene, specialmente il ministro agli Affari europei, Raffaele Fitto, che ha invitato la Corte dei Conti ad una collaborazione costruttiva. E parte di esso chiede di depotenziare l’organo di controllo. Dal canto loro, le opposizioni attaccano l’esecutivo. Sostengono, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in testa, che non sia in grado di spendere o, addirittura, che in un certo senso stia cercando si sabotare l’intero PNRR. Il governo si difende, evidenziando principalmente due problemi: l’incapacità cronica della nostra Pubblica Amministrazione di assorbire una simile mole di lavoro e la necessità di cambiare alcune voci di spesa.

Su entrambi gli aspetti sono in corso trattative con Bruxelles, che non sembra del tutto chiusa su tali aspetti.

Governo Draghi lasciò in eredità 18 miliardi non spesi

In un’illuminante intervista rilasciata al TG Sky 24, l’ex vice-ministro di Economia e finanze, Mario Baldassarri, chiarisce come sarebbero andate le cose. Entro la fine del 2022 avremmo dovuto spendere 30 miliardi di euro, ma in sede di redazione del Documento di economia e finanze nel settembre scorso, l’allora governo Draghi precisò che l’Italia avrebbe speso non più di 15 miliardi. Il dato consuntivo fu persino peggiore: 12 miliardi. Il governo Meloni s’insediò a fine ottobre e fino alla fine dell’anno scorso fu occupato nella redazione della legge di Bilancio. Di fatto, debuttò con ritardi sul PNRR per 18 miliardi.

Questo importo è stato spalmato sugli anni rimanenti, andando ad accrescere la mole di denaro e di annesse riforme da spendere e approvare rispettivamente. Sempre Baldassarri nota che sia del tutto ovvio che l’Italia non sia in grado di spendere in toto i fondi del PNRR. Ricorda come ogni anno riusciamo a spendere non più del 50% dei fondi europei ordinari, facendo mediamente tornare indietro 5 miliardi di euro. La Spagna, evidenzia l’ex vice-ministro, spende in media il 90% dei fondi europei, eppure ha preferito in prima battuta non richiedere i prestiti, attendendo che prima fossero stilati i progetti per attrarre i fondi.

PNRR, ritardi di spesa naturali e qualità interventi scadenti

C’è un altro aspetto su cui Baldassarri ha detto la sua: la qualità degli interventi. I governi Conte-bis e Draghi si concentrarono su migliaia di voci, finendo per finanziare di tutto e tradendo la logica del PNRR. Essa mira a rilanciare l’economia nazionale attraverso interventi strutturali. Invece, l’Italia scopre dopo la tragica alluvione in Emilia-Romagna che i fondi sono stati destinati ad opere in sé non di interesse nazionale, quando a capitoli come la tutela del territorio contro il rischio idrogeologico o, ad esempio, al rifacimento della rete idrica vanno le briciole.

Non a caso il governo Meloni ha accentrato la gestione del PNRR a Palazzo Chigi, altrimenti c’è il serio rischio che i fondi si perdano tra le mille scrivanie degli uffici ministeriali. Ad ogni modo, dimentichiamoci pure che saremo in grado di spendere i circa 200 miliardi previsti. E fu lo stesso ex premier Mario Draghi a fiutarlo, tanto da essere rimasto deluso dell’operato dei suoi ministri tecnici. Il fatto è che nel 2020 l’Italia puntò a piantare una bandierina da sventolare in patria per ragioni di politica spicciola. Chiese e ottenne una mole enorme di denaro senza prima mettere mano ai progetti e alla Pubblica Amministrazione. La riforma di quest’ultima, tra le altre cose, è obiettivo che si tramanda da decenni di governo in governo.

Lo stesso lavoro di scrittura del PNRR avvenne a porte chiuse, come se fosse questione del premier di turno e non di interesse nazionale strategico. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Fummo facili profeti quando sostenemmo che non sarebbe stato per nulla salvifico e che avremmo ottenuto scarsi esiti. Occorre essere ciechi o in malafede per pensare il contrario.

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