Lo stop alle trattative con Unicredit è stato uno choc. Quando il negoziato sembrava in dirittura di arrivo, il Tesoro si è alzato dal tavolo, ritenendo inaccettabili le richieste della controparte per l’acquisizione di Monte Paschi di Siena (MPS). La politica giubila o finge di giubilare per non prestare il fianco alle critiche di chi nell’opinione pubblica vedeva nell’operazione una svendita. Il fatto è che di alternative alla portata finora non ce ne sono. A meno di non recuperare il “piano Isacco”, a cui crede fortemente Maurizio Montigiani, dirigente di MPS e dell’Associazione Dipendenti-Azionisti della banca.

Il piano Isacco prevede un meccanismo semplice di risoluzione delle controversie legali: concedere ai creditori quote del capitale di MPS in cambio della cessazione delle liti. Il “petitum”, ovvero il valore massimo delle richieste avanzate in tribunale contro la banca, ammonta a 6,3 miliardi di euro. Troppo per un’azienda, che in borsa capitalizza intorno al miliardo. E, soprattutto, questa spada di Damocle che pende sulla testa dei senesi, tiene lontano i potenziali interessati.

Se il piano Isacco fosse implementato, MPS si ritroverebbe finanche senza alcuna causa pendente. L’azzeramento dei rischi legali comporterebbe la riduzione del capitale in mano al Tesoro, oggi al 64,2%. Ci sarebbe da discutere sull’entità delle quote da cedere, frutto delle valutazioni sulla futura patrimonializzazione. E i creditori accetterebbero o riterrebbero di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano? Ad essere sinceri, il rischio maggiore per loro sarebbe una classica vittoria di Pirro: ottenere gli indennizzi richiesti in tribunale, salvo non riuscire a monetizzarli per insufficienza di asset da aggredire.

Anche NPL ed esuberi grane per MPS

Non solo piano Isacco, comunque. Resta il problema dei crediti deteriorati. Dopo la maxi-cessione dello scorso anno, quando con l’operazione Hydra MPS si era liberata di 8,1 miliardi di euro di NPL (ceduti ad Amco), alla fine del giugno scorso questi risultavano risaliti a 4 miliardi netti.

Con una copertura al 46,9%, l’ulteriore svalutazione non sarebbe così drammatica. Anche solo ipotizzando un valore di mercato in area 20-25%, si tratterebbe di assorbire nuove perdite per 1-1,5 miliardi. Due le strade: sobbarcarsene direttamente o trasferirle anche stavolta in capo ad Amco, la quale si accollerebbe gli NPL a prezzi molto vicini a quelli di iscrizione a libro. La società è controllata dal Tesoro e, pertanto, pagherebbe sempre il contribuente. Ma almeno si farebbe pulizia e chiarezza dei bilanci bancari.

Infine, un ultimo scoglio: gli esuberi. Unicredit li stimava in 7.000, mentre per MPS sarebbero intorno a 5.000. Serve creare un fondo per sostenere i dipendenti fino al pensionamento. L’alternativa sarebbe di cedere le filiali del Sud a Mediocredito Centrale (Banca del Mezzogiorno), banca pubblica controllata da Invitalia, a sua volta controllata dal Tesoro. Forse, non basterebbe; ma almeno si ridurrebbe la quantità degli esuberi da smaltire con risorse proprie. A quel punto, gli interessati in Italia o all’estero si ritroverebbero a trattare con lo stato per prendersi una banca ripulita dai crediti a rischio, senza cause legali ed eccesso di personale.

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