Le quotazioni del petrolio sono in decisa risalita quest’oggi, dopo i dati sul lavoro negli USA, pubblicati il venerdì scorso, che hanno forse dipinto un quadro più robusto per la prima economia del pianeta. Il prezzo del Brent si porta a ridosso dei 45 dollari a quota 42,90, quello del Wti viaggia sui 42,43 dollari.

Eppure, le scorte di greggio negli USA erano risultate in crescita a 522,5 milioni di barili al 29 luglio scorso, segnalando un persistente eccesso di offerta, nonostante siamo in piena stagione estiva, durante la quale aumentano i consumi di carburante per i maggiori spostamenti degli automobilisti.

Stando a quanto accaduto in tutti gli ultimi 5 anni, i futures per le consegne a settembre, negoziati fino alla metà di questo mese, dovrebbero diminuire rispetto a quelli inerenti le consegne in agosto. Sarà forse anche in prospettiva di un trend apparentemente calante, che nella settimana al 2 agosto si è registrato il record di contratti ribassisti sul greggio con 218.623 unità, il livello più alto dal 2006.

Petrolio USA, scorte elevate

Dunque, ci sarebbe molto pessimismo sul futuro dell’oro nero nelle prossime settimane. Ma allora, come mai i prezzi stanno recuperando nel range 40-45 dollari, dopo essere scesi sotto la soglia dei 40 a inizio agosto? Potremmo, anzitutto, ipotizzare un rimbalzo tecnico: diversi traders potrebbero avere deciso di chiudere le posizioni ribassiste delle settimane precedenti, capitalizzando i guadagni, anche nella convinzione che una discesa dei prezzi ai livelli attuali potrebbe arrestare il ritorno alla produzione di alcuni pozzi americani, ripristinati dopo il rally terminato a giugno.

D’altra parte, vero è che i siti estrattivi attivi negli USA sono già saliti a 381 unità, il livello più alto dal marzo scorso, a conferma che diverse compagnie avrebbero aumentato la produzione e/o che pozzi considerati poco o per nulla remunerativi fino all’inizio di quest’anno, dopo il +90% segnato in tre mesi dai prezzi, ora sono nuovamente in funzione.

 

 

 

Nuove tensioni nell’OPEC

Ma è molto probabile che alla base del rialzo di queste ultime ore vi sia la prospettiva di un ennesimo vertice OPEC con all’ordine del giorno il taglio concordato della produzione. Tra i membri più attivi a spingere in questa direzione vi sono Venezuela, Ecuador e Kuwait, ma è già arrivato lo stop dalla Russia, non appartenente al cartello, ma che viene costantemente tenuto in considerazione per i colloqui, trattandosi del primo produttore globale.

Segnali distensivi non sarebbero arrivati nemmeno dal leader del gruppo, l’Arabia Saudita, che con circa 10,5 milioni di barili al giorno sta estraendo negli ultimi mesi a livelli record. Insieme all’Iraq, è responsabile di quasi l’intera crescita della produzione OPEC, al fine di neutralizzare il ritorno sui mercati internazionali dell’Iran dopo la fine dell’embargo contro le sue esportazioni.

Offerta petrolio è alta, eccesso rimane

Ormai, Teheran si sta portando ai livelli pre-sanzioni a 4 milioni di barili al giorno, ma per impedire agli iraniani di conquistare quote di mercato, i sauditi stanno imbracciando una vera battaglia commerciale, con sconti applicati sulle esportazioni in Asia.

Un’altra notizia bearish per il mercato è data dai lavori in corso per ripristinare il porto di Es Sider, chiudo dalla fine del 2014 dopo un attacco sferrato da un gruppo di guerriglieri anti-governativi. L’obiettivo di Tripoli è di aumentare la produzione, crollata agli attuali 300.000 barili al giorno dall’apice di 1,78 milioni del 2008. Il potenziale di crescita del paese nordafricano è enorme e con l’apparente ritorno alla normalità politica (c’è in carica un governo di unità nazionale, riconosciuto dalla Comunità internazionale) è probabile che nel corso dei prossimi mesi un aumento delle estrazioni vi sia. Ciò, però, accresce i dubbi sui tempi dell’assorbimento dell’eccesso di offerta globale.